Nelle scorse settimane, due ravvicinate “uscite” della Cassazione hanno suscitato un vivace dibattito: da una parte, le relazioni del Massimario sul Decreto Sicurezza e sulla questione Albania; dall’altra, il documento dell’Assemblea generale della Corte, in cui quest’organo si rivolge a Governo, Parlamento e C.S.M. con una sorta di elenco di desiderata. Ne parliamo con Gaetano Insolera, avvocato e professore di diritto penale.
Non è la prima volta che il Massimario interviene “a caldo”, dopo l’approvazione di un testo normativo. Siamo nella fisiologia del sistema?
Guardando sul sito della Cassazione la descrizione dei compiti dell’Ufficio del Massimario, istituito in base all’art. 68 RD 30/01/1941 n. 12 e più volte modificato nel tempo, l’unica funzione che sembra riconducibile al fenomeno di cui stiamo discutendo è la competenza a illustrare le novità normative. Si tratta di vedere – in concreto – se le relazioni cui accennavi, per i loro contenuti, rientrino in quel concetto. Di certo, forze politiche di opposizione e media le hanno utilizzate a piene mani per attaccare il Governo.
Si potrebbe obiettare: non era questa l’intenzione del Massimario.
Forse. Fatto sta che la relazione sul DL sicurezza è intrisa di valutazioni – quello che Mazza ha definito un “dogmatismo d’imperio” – che tengono conto della dimensione politica delle scelte di valore sottese alla novità normativa. Nel testo del Massimario colgo un forte dissenso da esse e il richiamo a una sorta di intervento da “Croce Rossa” della Corte costituzionale: difficile pensare a una neutralità dell’elaborato. Confesso che le interviste della Presidente Cassano, in cui sostiene trattarsi di mera analisi tecnico-scientifica, mi riportano alla mente giuristi del primo Novecento, come Manzini e Antolisei, e le loro idee circa la neutralità tecnica del diritto.
Ciò al di là della circostanza che molteplici “censure” siano condivisibili.
Sicuramente, come lo è stato chi negli ultimi trent’anni ha criticato il corteo ininterrotto di pacchetti sicurezza e il costante uso improprio di decreti legge, attribuibile a Governi di ogni colore: Carboni, il primo allievo di Bricola, già nel 1970 scrisse un libro sull’incompatibilità tra decretazione d’urgenza e diritto penale sostanziale.
Non si può fingere di ignorare come il ruolo della Cassazione, in questi ultimi decenni, sia progressivamente cambiato, nei fatti e anche normativamente: penso a quel comma 1 bis aggiunto all’art. 618 cpp sulla parziale vincolatività del precedente, insomma lo stare decisis debole.
C’è un “filo” che collega gli avvenimenti odierni a un progetto più ampio e risalente. Alla certezza del diritto si è sostituita la prevedibilità della decisione giudiziaria. Anche in ragione di interventi sovranazionali, si è ibridato il sistema, attingendo a piacere da ordinamenti basati sulla vincolatività del precedente e innestando le novità su una magistratura di carriera che nulla ha a che vedere con quella di common law. Certe relazioni del Massimario rischiano di condizionare pesantemente l’interpretazione dei singoli giudici.
Non rassicura, in tal senso, il documento dell’Assemblea generale dove pure si fa continuo riferimento a una nomofilachia condivisa, che non calerebbe dall’alto, ma si alimenterebbe anche dal dialogo all’interno dell’intera comunità di giuristi. Parole belle, ma distanti da una realtà dove il diritto giurisprudenziale è ormai solo diritto giudiziario. Il consilium del giurista vale zero nelle aule di giustizia.
Convengo e segnalo che si tratta di un fenomeno tutto italiano: per quel che mi consta non esiste l’equivalente, ad esempio, in una delle realtà più simili alla nostra – quella tedesca – dove ha una forte importanza la letteratura e sulle riviste si dibatte vivacemente attorno alle sentenze.
Pure la dottrina ha le sue colpe: a forza di esaltare la creatività giudiziaria, ha finito per auto-sopprimersi.
Questo anche perché è scomparsa la grande tradizione della penalistica italiana: prima c’era chi nasceva nel foro, ma attualmente le università sono occupate prevalentemente da “tempo-pienisti”, che con l’ordinariato poi magari si mettono a fare gli avvocati, ma in una dimensione in cui conoscono e sfruttano tutte le deviazioni del diritto penale vivente. C’è un mutamento antropologico dell’università. Si è smarrita la dimensione del garantismo penale: noi ci occupiamo di libertà dei singoli di fronte al Leviatano, ma ormai prevalgono altri impulsi e altri sentimenti, che sono quelli “codisti” rispetto al pensiero politico della magistratura.
Torno all’Assemblea generale. Secondo l’art. 93 O.G., a parte le inaugurazioni dell’anno giudiziario e la formulazione al governo di pareri richiesti su disegni di legge, essa dovrebbe limitarsi a “deliberare su materie d’ordine e di servizio interno”. Non è un fuor d’opera rivolgersi unilateralmente a Parlamento, Governo e CSM, interloquendo alla stregua di organo di rappresentanza politica?
Il testo di legge non consente equivoci: quell’Assemblea dovrebbe di regola servire a disciplinare aspetti organizzativi del funzionamento della Corte.
Due punti specifici del documento. Il primo: prevedere albi separati per categoria, per cui gli avvocati che difendono dinanzi alle giurisdizioni di merito non sarebbero legittimati al patrocinio in Cassazione e viceversa. Con questo criterio, poiché tu sei un professore universitario molto dotto giuridicamente, dovresti esercitare solo in Cassazione, senza poterlo fare ad esempio di fronte alla Corte d’appello di Bologna o ai Tribunali di Firenze o Venezia.
L’idea stessa va contrastata sul nascere, tanto è priva di ragionevolezza. Che ci sia l’aspirazione ad un livello di avvocatura che affronta i temi di legittimità in maniera qualificata può essere anche condivisibile. Che lo strumento sia quello della creazione di albi separati categoriali mi sembra non abbia senso. Purtroppo qualcuno, anche tra gli universitari, è affascinato da questa immagine di avvocato, che non si sporca le mani con i controesami o gli interrogatori in carcere. Quasi che le questioni di legittimità non nascessero dal merito. L’impressione inoltre è che spiri un po’ di revanscismo: ci volete separare…
E poi c’è il secondo: estendere al penale l’istituto del rinvio pregiudiziale previsto in ambito civile, sempre in nome della nomofilachia. Insomma, sempre più potere alla Cassazione.
Si potrebbe parlarne a lungo, ma la prima contrarietà nasce dall’idea di emulare il settore più arretrato e inefficace dell’ordinamento: quello della giustizia civile.
