Quando, ormai parecchio tempo fa, Benjamin Netanyahu disse che gli ebrei d’Europa non avrebbero avuto futuro, fu indispettita la reazione dei governanti europei implicitamente accusati dal leader israeliano di non saper proteggere le comunità ebraiche. Anni dopo, non solo il futuro si sarebbe chiuso in faccia agli ebrei d’Europa in modo anche più violento e drammatico, ma un’identica sorte avrebbe coinvolto gli ebrei ovunque nel mondo, dagli Stati Uniti al Canada e all’Australia. A Parigi, a Bruxelles, ad Amsterdam, a Roma, a Londra, a Toronto, a New York, a Sydney, oggi gli ebrei non sono più sicuri. Oggi queste società del cosiddetto Occidente, la Francia, il Belgio, l’Olanda, l’Italia, l’Inghilterra, il Canada, gli Stati Uniti, l’Australia, non sanno garantire la sicurezza degli ebrei.
Ora la domanda è questa. Salvo negare che il problema esista – e pare che siano istradate in questo senso – davvero queste società sono disposte a tollerare che gli ebrei siano indotti ad andarsene? Davvero sono disposte a tollerare sé stesse come le società che hanno consentito, dopo la Shoah di cui furono complici, il ritorno in stato di insicurezza degli ebrei? Davvero le società occidentali – per la paura di guardarsi o, peggio, per l’indifferenza nel vedersi così malmesse – sono disposte ad assistere alla propria involuzione civile consentendo che gli ebrei siano costretti a nascondersi, a non farsi riconoscere, magari a emigrare per non essere esposti alla violenza che li assedia?
La risposta routinaria, puntualmente emergente da chi ha voce in capitolo in quelle società infestate di odio e violenza antisemita, è che “l’antisemitismo qui da noi non ha cittadinanza”. Ma è un ritornello molestato da una realtà ben contraria: e diciamo – a dir poco – che si tratta di un presidio perlopiù teorico, una specie di formula vuota posta a mettere fuorilegge, ma senza punirla, una normalità impunita. Come un divieto di caccia in una landa di bracconieri lasciati liberi di infischiarsene.
Le società – tra le quali la nostra – che mettono in Costituzione la parità e l’uguaglianza davanti alla legge di tutti i cittadini stanno accettando che i cittadini ebrei non siano più cittadini come gli altri. Perché vedono a rischio la propria incolumità, la possibilità di godere dei diritti comuni (circolare, associarsi, studiare, pregare) per il solo fatto di essere ebrei. Il tutto, non raramente, con il supplemento ulteriormente discriminatorio che attribuisce all’ebreo l’aspettativa di non essere discriminato a patto che sia un “buon” ebreo: che oggi significa “prendere le distanze da Israele”, la nuova cifra dell’eterna inquisizione antisemita ripatinata di ragionevolezza democratica. Quella che il 25 aprile, a Milano, finisce in sputi sulla Brigata Ebraica, a Roma in escrementi spalmati su un memoriale della Shoah e, sui social, nel post di un parlamentare della Repubblica secondo cui “gli ebrei” hanno ucciso Gesù Cristo. Segni di una discreta cittadinanza dell’antisemitismo, ci pare.
