L’educazione all’affettività a scuola è una scatola vuota, non ha possibilità di fermare i femminicidi

Nel “Si&No” del Riformista spazio all’idea di introdurre l’educazione all’affettività nelle scuole: è una giusta proposta per fermare i femminicidi? Favorevole la docente universitaria Maria Luisa Iavarone, contrario invece lo scrittore e giornalista Paolo Guzzanti.

Qui il commento di Paolo Guzzanti

L’idea è una scatola vuota che parte da un pregiudizio: che i femminicidi siano un fenomeno atroce dei nostri tempi e che siano causati da una cattiva o carente educazione familiare o scolastica. E che dunque, chiamando a raccolta famiglie e professori, impartendo lezioni di informazione e buona creanza somministrate dall’insegnante di scienze coadiuvato da un generico medico e ginecologo, si affronterebbe e gradualmente risolverebbe l’atroce problema. Ora, prima di tutto la piaga del femminicidio – donne uccise dal loro uomo – è antica quanto l’umanità e accade ovunque da sempre. Ciò che è nuovo è il fatto che finalmente il suo orrore antico quotidiano sia stato notato e sia diventato oggetto dell’attenzione di tutti, e che la politica senta il dovere di fare qualcosa di visibile e utile. Così è nata l’idea di una scatola vuota in cui ficcarci dentro di tutto: dal corpo umano ai rapporti sessuali, per rieducare il genere maschile affinché reprima i suoi istinti violenti.

I delitti e i femminicidi

Sono stato, credo, in Italia il primo giornalista a denunciare la mattanza delle donne dimostrando e mostrando che si tratta di un delitto perennemente coperto da silenzio: era il 1976 e su “Repubblica” scrissi un primo reportage intitolato “Mia cara donna, ti ammazzo”. Ne avevo abbastanza di leggere sui giornali pezzi e articoli indecenti del tipo “Rinvenuta decapitata”, “Donna arsa viva dal marito”, più le sgozzate o bastonate e affogate in mare o nel lago. Insistemmo grazie ad Eugenio Scalfari nel gridare al doppio scandalo dei delitti quotidiani e dell’indifferenza complice anche delle femministe del tempo. Ho classificato centinaia di omicidi che oggi chiamiamo femminicidi e vidi ciò che chiunque può vedere: il 90% di questi delitti è compiuto da uomini incapaci di accettare la rottura, la fine del rapporto.

C’è anche una piccola percentuale di donne che, abbandonate dal partner, lo uccidono, si uccidono o uccidono se stesse e i figli per disperata rappresaglia. Circa il 30% dei maschi che uccidono donne, dopo aver compiuto il loro abominevole delitto, tenta il suicidio. Ma il femminicidio è la modalità più scandalosa di questo genere di macelleria, è opera di maschi privi del controllo delle emozioni in particolare della rabbia che diventa desiderio di punizione e di vendetta che va dalla diffamazione all’annichilimento di Giulia che si preoccupava dell’incolumità del proprio boia. Gli audio che ha lasciato Giulia sono la prova dell’assoluta incapacità di capire e prevenire. Così, poi, tutta la repulsione e l’indignazione universale per l’infame delitto, anziché portare all’adozione di misure complesse ed efficaci, sia canalizzata verso la debordante retorica a casaccio televisivo.

Servono gli psichiatri

Le lezioni previste non hanno la minima probabilità di fermare questi delitti. E non si capisce come possa venire in mente di non convocare per prime le uniche figure professionali in grado di capire che sono gli psichiatri. Non gli psicologi, attenzione, che non hanno alcuna esperienza clinica. Ma proprio gli psichiatri che ogni notte nei pronto soccorso trattano persone in preda alla furia o alla vendetta o alla depressione. È certamente cosa buona educare al rispetto reciproco e alla condanna di qualsiasi violenza, e se il disegno di legge presentato in Senato fosse in grado di addestrare al rispetto degli altri e alla repulsione di qualsiasi violenza o atto di aggressivo contro le donne sarebbe comunque un passo avanti. Invece la legge prevede, assurdamente, che un insegnante di scienze affiancato da un ginecologo improvvisino a soggetto. Sta qui l’indistruttibile debolezza di questa decisione politica a caccia di consenso facile. Manca l’oggetto, manca il contenuto, mancano i protocolli, manca il personale formato e vagliato per una operazione delicatissima che deve impedire i femminicidi, non a buttarla in cagnara e ovvietà. Anche far credere che il femminicidio sia una piaga dei nuovi tempi è un madornale errore di impostazione perché la storia dell’umanità in ogni epoca e luogo testimonia l’eternità di questo delitto.