Elezioni politiche 2027, fedeltà a Trump e all’Occidente o a Putin e Xi: l’enigma dei partiti

Pur senza evocare scenari apocalittici o visionari, è abbastanza evidente che la chiarezza – e il progetto politico – sulla politica estera sarà uno degli elementi, se non addirittura il tassello decisivo, che segnerà il profilo e soprattutto la credibilità delle coalizioni che si confronteranno alle elezioni politiche del 2027. Un tema che si è ormai riproposto con prepotenza all’attenzione della politica italiana, di tutte le forze politiche e anche nella pubblica opinione. E la profonda divisione che si sta profilando all’interno dei due schieramenti lo conferma in modo plateale.

Mutatis mutandis, possiamo tranquillamente sostenere che si riproporne una situazione simile a quella che il nostro Paese ha vissuto nel 1948. Certo, con altri partiti, altri protagonisti, altri approcci, ma con culture politiche che individuano nuovamente il punto discriminante nella divisione tra l’Occidente e l’Oriente. E, sotto questo profilo, non è affatto da sottovalutare o da ridicolizzare la presenza dell’ex premier Massimo D’Alema alla parata militare di Pechino. E questo per una ragione di natura squisitamente politica che è ormai sotto gli occhi di tutti. Almeno di coloro che non vivono di pregiudizi personali e di pregiudiziali ideologiche. Ovvero il riemergere, addirittura in forme violente e spregiudicate, di quell’anti-occidentalismo e di quell’anti-americanismo che storicamente hanno rappresentato il cemento ideologico unificante di larga parte della sinistra italiana. E non solo di quella ex o post comunista.

È appena sufficiente registrare le parole d’ordine e gli slogan dei partiti, dei gruppi e dei movimenti politici che si riconoscono nel cosiddetto “campo largo” per rendersene conto. L’attacco ai valori, alla cultura e alla storia dell’Occidente si saldano, quotidianamente, con la violenta contestazione dell’attuale leadership politica degli Stati Uniti d’America. Una posizione che, consapevolmente o meno, porta l’intera sinistra italiana (quella radicale e massimalista di Schlein, quella populista e demagogica dei 5 Stelle e quella estremista e ideologica del trio Fratoianni-Bonelli-Salis) a guardare con straordinaria attenzione a tutto ciò che capita in Oriente.

Posizione speculare a quella altrettanto populista e demagogica teorizzata dalla Lega di Salvini. Ma con la differenza, non irrilevante, che nella coalizione di centrodestra la strategia e il progetto di politica estera vengono decisi e sostenuti dalla presidente del Consiglio e dal ministro degli Esteri. Due esponenti politici autorevoli che riassumono la posizione di due partiti di governo che hanno, nel merito, idee chiare e nette. E cioè unità dell’Europa, unità dell’Occidente e, di conseguenza, un forte legame con gli Usa. A prescindere da chi, di volta in volta, guida la più grande democrazia del mondo. Appunto, una posizione che riflette la storica strategia di politica estera del nostro Paese. Quella che, seppur con sensibilità e accenti diversi, ha praticato la Democrazia cristiana per quasi 50 anni con l’apporto dei partiti di democrazia laica e socialista.

Per queste ragioni, è naturale che il confronto-competizione tra l’alleanza di centrodestra e la coalizione di sinistra riflettano quella forte contrapposizione politica, culturale e strategica che già abbiamo vissuto nel nostro Paese per molti decenni. Il tutto senza polemica, senza invettive e senza alcuna delegittimazione morale e politica. Ma, al contrario, si tratta solo di prendere atto che c’erano, ci sono e quasi sicuramente ci saranno due visioni opposte su come collocare l’Italia nello scacchiere europeo e internazionale.