«L’Iran è stato seriamente indebolito dalla guerra. Per evitare un’altra escalation, sarebbe pronto a ridurre l’arricchimento di uranio dal 60 al 20%». Ely Karmon, decano dei ricercatori dell’International Institute For Counter-Terrorism, l’Ict di Herzliya, delinea un quadro di forte difficoltà per il regime iraniano.
A due mesi dal conflitto, l’Iran sembra uscito dai radar dei media europei. Com’è la situazione?
«Il primo aggiornamento riguarda i negoziati sul nucleare. Il Gruppo E3 (Francia, Germania e Regno Unito, ndr) ha riavviato i colloqui. L’Iran non ha accettato le recenti proposte occidentali, supportate dagli Usa, quindi è prevedibile che si avrà una nuova restrizione di sanzioni economiche. A Teheran, il presidente in prima persona, Masoud Pezeshkian, supportato dall’ala più riformista del regime, sta facendo pressione perché si avvii un dialogo diretto con gli Usa. Ma l’idea è stata rigettata da Khamenei. Nel frattempo, resta in sospeso la questione Aiea».
Le relazioni con l’Agenzia Onu per il nucleare si erano interrotte per la mancata condanna agli attacchi israeliani e Usa. Il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, ha detto che il suo Paese non può interrompere completamente i rapporti con l’Agenzia.
«Gli ispettori dell’Aiea restano nel Paese, ma non hanno accesso ai siti di arricchimento. Teheran minaccia di abbandonare il Trattato di non proliferazione nucleare (Tnp). Se così fosse, sarebbe la fine totale dei negoziati».
Come si sta riposizionando il regime in rapporto ai suoi alleati e proxy?
«Ne è in corso una riorganizzazione totale. Ma con difficoltà. L’obiettivo è tenere sotto pressione Israele e gli Usa. Ali Larijani, il segretario del Consiglio supremo per la sicurezza nazionale, ha visitato Beirut per convincere il governo libanese a non disarmare Hezbollah».
Cosa ne è emerso?
«In Libano Aoun e Salam (rispettivamente presidente e primo ministro, ndr) hanno risposto negativamente alla richiesta, sottolineando l’indipendenza del Libano. A Bagdad, Larijani ha fatto pressione sul governo iracheno affinché non disarmasse le milizie pro-iraniane. Per quanto sciita, il premier Mohammed Shia’ al-Sudani mira al disarmo delle milizie filo-iraniane, da sempre operative per cacciare le truppe Usa dal Paese come anche dalla Siria, sostenute anche dall’influente ex premier, Nuri al-Maliki. Durante la guerra contro Israele, i combattenti pro-Iran avevano intensificato le operazioni. Bagdad ha deciso quindi di mettervi un freno e Larijani non è riuscito probabilmente a fargli cambiare idea».
Quindi per l’Iran, Hezbollah resta il proxy più prezioso?
«Per Teheran, Hezbollah è più di un proxy. La sua leadership è parte integrante del regime. Il problema per Teheran è che ora la Siria è passata nelle mani di un governo sunnita, che collabora con Stati Uniti, Arabia Saudita e Turchia, e sta conducendo negoziati ravvicinati con Israele per un cessate il fuoco e un ritorno alle posizioni territoriali del 1974. Gli iraniani hanno quindi un problema su come riarmare Hezbollah. Privi ora del libero passaggio attraverso la Siria, hanno poche possibilità».
Non restano che gli Houthi in Yemen.
«Esatto. L’unico membro attivo dell’Asse sono loro, che continuano a bombardare Israele. E lo faranno finché quest’ultimo continuerà ad attaccare Gaza. Alcuni giorni fa, hanno lanciato un missile balistico con testate a grappolo, ovviamente di fornitura iraniana. Teheran ha detto di aver sviluppato vettori con capacità superiori a quelli usati durante la guerra dei 12 giorni. È chiaro che sta cercando di rafforzare un alleato molto difficile da combattere. Gli americani hanno deciso di non affrontare gli Houthi. Su questo fronte, Israele resta solo. Al contrario, l’esercito iraniano sta cercando di installare una sua infrastruttura per la fabbricazione di missili in territorio yemenita, in modo da essere presente lì in prima persona».
Cosa si può dire invece di Hamas?
«Le relazioni restano. Il sostegno pure. Ma finché Hamas è impegnato nella guerra a Gaza, Teheran non può augurarsi di più. Sta solo pressando affinché non accetti le proposte di cessate il fuoco che gli arrivano dai governi occidentali e dal mondo arabo. Diverso è il discorso per la West Bank. Lì, l’Iran ha da tempo trasferito armamenti ai terroristi islamici nell’Autorità Palestinese e ha costretto Israele a dirottare alcuni reggimenti lungo la frontiera giordana».
Infine c’è la Russia, il grande alleato di Teheran.
«Nonostante l’accordo strategico che i due governi hanno siglato a gennaio, il mancato sostegno di Mosca durante la guerra ha indispettito il regime. Anzi, secondo alcune fonti, il Cremlino avrebbe fornito informazioni a Israele sui siti iraniani da colpire».
