Adesso non mettiamo in giro la leggenda metropolitana secondo la quale Enrico Berlinguer sarebbe stato “il più importante riformista italiano”. In primo luogo la mistificazione offende proprio lui, la cui ispirazione ideologica e la conseguente azione politica in tutte le due fasi fondamentali (quella più moderata e quella radicale) ha sempre contestato alla radice il riformismo e la social democrazia. Proprio per evitare l’omologazione social democratica nella fase moderata (quella della politica di unità nazionale) Berlinguer lanciò la strategia del compromesso storico fondata sull’ipotesi del tutto velleitaria e irrealistica di realizzare il socialismo con l’alleanza con la Dc. Sempre per esorcizzare il riformismo e la socialdemocrazia Berlinguer lanciò l’ipotesi dell’eurocomunismo, smontata da Norberto Bobbio (la terza via tra comunismo e socialdemocrazia non esiste) e scomparsa rapidamente dall’orizzonte per la sua inconsistenza politica e culturale.
Poi attribuire il merito del divorzio e dell’aborto a Berlinguer è del tutto sbagliato. Tutti sanno che quelle due grandi riforme civili furono imposte a un Pci recalcitrante dall’iniziativa del Partito Radicale di Pannella e del Psi in quella vicenda guidato da Loris Fortuna. Allora chi scrive era responsabile stampa e propaganda del partito socialista e ricorda bene le prediche che a noi socialisti facevano Berlinguer e Bufalini: “Non conoscete l’Italia, con la vostra linea ci porterete alla sconfitta”, tant’è che tramite la senatrice Tullia Carrettoni il Pci fece di tutto per tentare una intesa con la Dc cambiando in peggio la legge. Il fatto è che Berlinguer e Bufalini non solo non avevano capito che l’Italia di quegli anni non era più quella bigotta degli anni Quaranta e Cinquanta, e che a sua volta la base comunista era molto più avanzata di loro e si buttò a capofitto nella battaglia referendaria. Ma se non ci fossero stati Fortuna e Pannella il gruppo dirigente del partito comunista ci avrebbe trascinati in una mediazione pasticciata.
Lo scontro fra Berlinguer e Craxi non può essere ridotto a una sorta di incomprensione caratteriale. Berlinguer espresse contro Craxi un settarismo che era la negazione del riformismo. Berlinguer definì quello presieduto da Craxi un governo di destra, bacchettò Luciano Lama che lo aveva definito una novità storica, poi diede il suo avallo a una occupazione della Fiat, e nella fase radicale dell’alternativa di Salerno egli ha elaborato una piattaforma che è stata il punto di partenza del giustizialismo e del populismo evocando la questione morale e il “partito diverso”.
Così Berlinguer ha lasciato in eredità al suo partito anche quella battaglia sul referendum sulla scala mobile che si è risolto in una delle più cocenti sconfitte del Pci e furono gli operai del Nord a dare un contributo decisivo affinché i comunisti perdessero.
Quindi possiamo dire una sola cosa e cioè che Berlinguer fu più autonomo di Togliatti nei rapporti con l’Urss ma rimanendo rigorosamente in quel perimetro. Comunque Togliatti era certamente più garantista di lui almeno da quando agì in Italia (stendiamo un velo di silenzio su quello che gli fece negli anni Trenta) tant’è che nel 1946 diede via libera a quella amnistia che riguardò non solo i Partigiani ma anche i fascisti. D’altra parte la conferma di tutto ciò sta nella conclusione disastrosa di tutta la vicenda: i cosiddetti “ragazzi di Berlinguer” (Occhetto, D’Alema, Veltroni con la consulenza giuridica di Violante) respinsero la proposta strategica dei miglioristi di dar vita ad un grande partito socialdemocratico e riformista e fecero da sponda al pool di Mani Pulite venendo ricambiati con l’impunità. Scelsero la via di inserirsi nell’operazione nuovista dando vita ad un partito neoliberista e giustizialista, così connesso con magistratura democratica che una parte di quel partito si associò nella battaglia contro Falcone (c’è un famoso articolo sull’Unità di Pizzorusso e il testo dell’intervento al Csm di Elena Piaciotti a confermare questa valutazione).
