Bisogna chiederci perché diverse aziende di qualità nel sistema moda, del cibo e della produzione di beni ad alto valore aggiunto siano passate sotto controllo straniero. Per fortuna abbiamo una rete di piccole e medie imprese abbastanza vivaci ma questa vivacità per evolversi deve poter contare su imprese capaci di creare le condizioni a livello globale. Inoltre, dobbiamo fare i conti, come diversi casi hanno messo in luce, a un progressivo indebolimento nei settori bancari e finanziari che sono essenziali per un sistema economico che vuole innovare e competere. Per evitare di essere marginalizzati occorre quindi si metta mano in fretta a una nuova politica industriale che ricrei fiducia e che non segua i cicli elettorali. Non si tratta di ricostruire lo Stato imprenditore (che ha avuto molti meriti nell’industrializzazione del nostro Paese) ma di avere uno Stato “facilitatore” che sostenga i processi innovativi con politiche fiscali adeguate e selettive che favoriscano gli investimenti italiani e attraggano quelli esteri, anche perché con la Brexit sicuramente aumenterà la velocità e il movimento di capitali. Si tratta di evitare che l’attrazione di imprese nei circuiti nazionali favorisca solo Francia e Germania. Lo Stato non deve tornare a fare l’imprenditore ma questo non significa che non abbia un ruolo nell’economia. Può svolgere una presenza da azionista limitata nel tempo e con quote di minoranza sia in imprese che giocano un ruolo strategico a livello nazionale, europeo e internazionale. In questo senso intendo lo “Stato facilitatore”: un settore pubblico che agisce e promuove le innovazioni tecnologiche, la crescita delle competenze e delle professionalità in modo che aumenti la produttività. Puntando decisamente sul rafforzamento della ricerca e sulla produzione di brevetti. Al punto in cui siamo non mi attendo miracoli dalla politica anche perché la debolezza di questo governo nato più per necessità che per volontà è speculare a quella di una opposizione che non presenta proposte innovative e pertanto non rappresenta uno stimolo, venendo in tal modo meno alla sua funzione. A volte ho l’impressione che il Paese sia attraversato da una sorta di fobia antindustriale e le vicende dell’Ilva, quelle di Alitalia, i 149 tavoli di crisi molti dei quali aperti da diversi anni, mostrano che l’interesse per la dimensione industriale è molto bassa e che molte volte, pur di non assumersi responsabilità, ci si affida alla magistratura, ma questa è una debolezza che andrebbe evitata.
Ex Ilva, manca politica industriale e si discute di reddito di cittadinanza e quota 100
