La ricerca di nuove avventure, esperienze all’estero, opportunità di vita o carriera. È ciò che spinge milioni di persone a lasciare il proprio luogo d’origine accrescendo le fila del popolo degli “Expat”, i cittadini-lavoratori del mondo. Un fenomeno che ha radici lontane anche nella storia del nostro Paese, segnata da ondate migratorie verso terre vicine e lontane.
Grazie alla globalizzazione e alla facilità di movimento, il numero di Expat italiani è aumentato in modo esponenziale. Giovani, laureati e “skillati”. È il profilo di chi lascia l’Italia con un bagaglio ricco di talento e risorse. Al 1° gennaio 2022 i cittadini italiani iscritti all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero) erano 5.806.068, il 9,8% degli oltre 58,9 milioni di italiani residenti in Italia. Mentre l’Italia ha perso in un anno lo 0,5% di popolazione residente (-1,1% dal 2020), all’estero è cresciuta del 2,7% che diventa il 5,8% dal 2020. Dal 2006 al 2022 la mobilità italiana è aumentata dell’87%. Ma il dato che preoccupa è quello che riguarda i giovani: tra coloro che abbandonano l’Italia quasi il 42% ha meno di 34 anni. A raccontarlo sono i numeri del “Rapporto Italiani nel Mondo 2022”, promosso dalla Fondazione Migrantes.

E anche tenendo conto di chi rientra, il saldo resta sempre negativo. 75mila italiani sono rimpatriati nel 2021, un numero più alto del 10% rispetto al periodo pre-pandemia. Per contro, 94mila hanno invece lasciato l’Italia per trasferirsi all’estero. I giovani fra i 25 e i 34 anni espatriati fra 2012 e 2021 sono circa 337mila, di cui oltre 120mila laureati. I coetanei rimpatriati nello stesso periodo sono 94mila (41 mila laureati). L’Italia ha perso circa 79mila giovani laureati in dieci anni.
Ma quali sono le cause di questa fuga continua e crescente? Qualche indicazione arriva dagli Expat che si sono stabiliti in Italia.
Il nostro Paese si classifica al 47° posto – su 53 destinazioni – nel sondaggio “Expat Insider 2023” condotto tra 12mila Expat in 171 nazioni da InterNation.
Burocrazia e prospettive di carriera tra i punti più critici: il 72% degli stranieri residenti trova difficile affrontare la burocrazia, quasi il doppio della media globale (38%). Più di due stranieri residenti su cinque (42%) non sono soddisfatti della disponibilità di servizi governativi online, il doppio della media globale (21%). Quasi la metà degli stranieri residenti non è soddisfatta del mercato del lavoro locale e uno su tre afferma che il trasferimento in Italia non ha migliorato le proprie prospettive di carriera.
E poi c’è la questione salariale. È l’ufficio studi di Confcommercio a stimare che il reddito d’ingresso nel mondo del lavoro degli under 30 è crollato negli ultimi 40 anni. Considerando i lavoratori di età fino a trent’anni, tra il 1977 e il 2016 il reddito d’ingresso del dipendente è sceso del 7,5% (all’incirca meno di 1.100 euro a prezzi costanti) quello del lavoratore indipendente – imprenditore, lavoratore autonomo, libero professionista – del 41% (meno 7.300 euro).
La decisione di lasciare lo Stato di origine è un atto di coraggio e apertura mentale. Un investimento a lungo termine che va sostenuto e incentivato. Ma deve essere un investimento che preveda anche incentivi per il “rientro del capitale” e la sua condivisione in ottica di “sharing economy” per il progresso e la crescita del proprio Paese.
