Faggin e l’invenzione del microprocessore che ha fatto la storia: “Negli Usa si dice sì prima di dire no – qui si dice no prima di dire sì – c’è una differenza non indifferente”

Il Festival Italia-America di Vicenza- organizzato dalla Fondazione Teatro Comunale Città di Vicenza e dalle rappresentanze degli Usa in Italia, col patrocinio della Regione Veneto – non è stato solo una celebrazione diplomatica dei rapporti tra due nazioni. È stato testimonianza di culture comuni, ma perfino di come la tecnologia possa essere- nella storia e nel presente – vero ponte tra mondi apparentemente distanti.
Il momento culminante del Festival è stato l’incontro con Federico Faggin, l’uomo che più di ogni altro incarna nella storia contemporanea la sintesi perfetta tra genio italiano e pragmatismo americano. La sua presenza al Festival non è stata casuale: a portarlo è stata Polomarconi, la società di sistemi di radiocomunicazioni terrestri che ha raccolto l’eredità storica di Guglielmo Marconi, non solo nella tecnologia, ma nella filosofia stessa della tecnologia come strumento per far comunicare culture e Paesi. Non a caso, Polomarconi ha portato al Festival anche l’antenna originale con cui Guglielmo Marconi riuscì a mettere in contatto via radio Italia e America, creando un suggestivo parallelo storico.

L’uomo che ha cambiato il mondo

Federico Faggin, vicentino di nascita, è l’inventore del microprocessore, quella minuscola architettura di silicio che ha rivoluzionato il nostro modo di vivere. Nel 1971, nei laboratori della Intel in California, realizzò in undici mesi quattro chip, uno dei quali era il microprocessore 4004 che ha fatto storia. Ma la sua vicenda professionale è molto più di una sequenza di successi tecnologici: è la storia di come l’inventiva italiana e la capacità organizzativa americana possano fondersi in qualcosa di straordinario. Quando gli viene chiesto se oggi consiglierebbe a un giovane italiano talentuoso di andare negli Stati Uniti, la sua risposta è netta: “Sì, lo consiglierei per l’organizzazione aziendale che hanno gli Stati Uniti su come fare le cose, per l’energia che hanno, per la capacità innovativa che dice sì prima di dire no – qui si dice no prima di dire sì – c’è una differenza non indifferente. Dei ragazzi sono andati in California per qualche tempo, poi sono tornati e hanno avuto delle carriere eccezionali proprio perché questo cambiamento di cultura, di modo di pensare aiuta molto ed è complementare al nostro”.

Il valore dell’approccio italiano

Ma Faggin non dimentica cosa ha portato dall’Italia nel suo bagaglio di innovatore. “Io ho portato una fantasia, una capacità innovativa orizzontale che lì non c’era, e questo mi ha portato a risolvere un problema molto importante che esisteva, ma che nessuno era mai riuscito a risolvere”. È questa capacità “orizzontale” degli italiani, questa visione d’insieme che spesso manca agli specialisti americani, ad aver permesso di realizzare l’impossibile: “Si potevano fare tutti i pezzi di un computer con la stessa tecnologia, quindi un computer poteva finire in un pezzettino di silicio. mentre prima le memorie erano magnetiche, l’unità centrale del computer richiedeva centinaia e centinaia di circuiti”. La storia di Faggin è costellata di incomprensioni che si sono rivelate clamorose sviste. Come quando inventò il touch screen e andò a proporlo ai produttori di telefoni cellulari: “Andavo dalla Nokia, dalla Motorola, dalla Rim facevo vedere come con i touch screen si potevano fare dei telefoni molto più intelligenti usando i gesti. L’unica ditta che ha capito era l’Apple, ma questo 5 anni dopo”. O quando la stessa Intel, nel 1974, non comprese il potenziale rivoluzionario del microprocessore: “L’Intel non ha mai capito che il microprocessore era il futuro, erano più avanzati degli altri ma non abbastanza da capire la trasformazione che era in atto”.

L’intelligenza artificiale e la coscienza umana

Oggi, in tempi di Intelligenza artificiale, Faggin traccia linee molto marcate tra uomo e macchina. La sua riflessione va oltre la tecnologia per toccare questioni filosofiche profonde: “L’elemento fondamentale è la coscienza: quella cosa che abbiamo e che non sappiamo neanche di avere, perché l’abbiamo da sempre quando ci ricordiamo di essere, perché sapere che esistiamo viene dalla coscienza. Questa ci permette di conoscere attraverso un’esperienza, le sensazioni e i sentimenti che noi troviamo dentro di noi”. Sul futuro dell’intelligenza artificiale, il suo messaggio è chiaro: dobbiamo usarla con senso critico ed etica. “L’intelligenza artificiale non è cosciente, quindi sono simboli in movimento. Siamo noi che diamo significato ai simboli, è la nostra coscienza che dà significato ai simboli”. E ancora: “Le probabilità giuste dipendono dal contesto, siamo noi che possiamo rendere questo giudizio più profondo ed è lì la nostra grandezza. Noi capiamo, noi comprendiamo, noi sappiamo cos’è il significato delle cose, non solo l’aspetto formale, l’aspetto simbolico”.

Il Made in Italy secondo Faggin

Alla domanda su cosa significhi per lui il Made in Italy, Faggin risponde con una visione che unisce pragmatismo e spiritualità: “Il mio concetto di Made in Italy è eccellenza in quello che uno fa, eccellenza in come non solo funziona, ma anche come si presenta: l’unione della utilità e della bellezza, che è l’aspetto più spirituale delle cose”. Sulle differenze culturali tra Italia e America, osserva che “c’è certamente molta più fusione di culture, però c’è sempre anche un campanilismo che è normale tra le varie nazioni e così via, e sarebbe ora invece di unirci un po’ di più, quindi insomma è work in progress come diciamo noi”.

Il ponte tra due mondi

Domenico Zanini, CEO e presidente di Polomarconi, ha sottolineato il profondo legame simbolico e storico che unisce le figure di Marconi e Faggin: “Mettere persone in comunicazione, parlare fra di loro, creare cultura comune e futura, attraverso la tecnologia e la visione che la produce”. Il Festival di Vicenza, città che ospita da 70 anni la più grande comunità americana d’Italia, è diventato così racconto e al tempo stesso laboratorio di un’alleanza. “Nella convinzione – spiega Jacopo Bulgarini d’Elci, ideatore e direttore del Festival – che proprio in momenti di tensione internazionale sia la cultura ad avere il compito, costruendo ponti, di tenere vivi il dialogo, il confronto e la conoscenza tra i popoli”.