Fame e sete a Gaza? La realtà è un’altra. L’Italia innamorata di un film che guarda con gli occhi foderati di “kebab”

Tutti noi, da piccoli, siamo stati coinvolti dalla storia di Peter Pan alla ricerca dell’Isola che non c’è, e, portandoci dentro questi ricordi, a volte affrontiamo la vita proprio come i bambini. La faccio breve: vorrei chiarire, in poche righe, perché Gaza è passata dalla non curanza della storia (che l’ha ignorata per 5mila anni) ad essere “l’isola che c’è”, ovvero l’ombelico del mondo. Senza pensare, al momento, alla tragedia della guerra, vediamo che sta succedendo realmente partendo da due punti fermi, ovvero da due Paesi coinvolti, che non sono la Palestina e Israele ma Gaza e l’Italia (considerando che in quest’ultimo Paese, absit iniuria verbis, è stato istituito un premio virtuale pronto per il più ipocrita). Questa prerogativa fa del Belpaese la mela di Biancaneve: bellissima fuori, marcia dentro.

A Gaza funziona tutto

Ma torniamo a Peter Pan. Ci sono due mondi: uno è Gaza e un altro è l’Italia, Paese in cui si stanno svolgendo rappresentazioni assolutamente svincolate dalla realtà. A Gaza City tutto funziona, compresi gli stabilimenti balneari, i cinema, i mercati e i supermercati, mentre qui in Italia si assiste a un film che ci mostra bimbi affamati, sui quali da 22 mesi incombono la carestia (che a Gaza nessuno sa cosa sia, perché in 5mila anni non c’è mai stata), la fame e la sete, oltre ai bombardamenti che non si fermano. Pensiamo alle decine di migliaia di metri cubi di acqua dolce che ci sono volute per costruire la Gaza sotterranea.

L’altra realtà di Gaza

L’Italia è innamorata di questo film che sta guardando con gli occhi foderati di “kebab”, visto che i musulmani non mangiano prosciutto. Allora tutto serve per dare addosso al carnefice ebreo che sta perpetrando questo. Si è aperta una gara, al cospetto della quale le trasmissioni televisive più in voga fanno ridere, a chi sputa la sentenza più negativa e propone la soluzione più macabra. Associazioni sportive che chiedono l’espulsione di Israele da tutte le manifestazioni e giochi, assemblee di condominio che deliberano di interrompere le relazioni con Israele, associazioni di bagnini che propongono di lasciare affogare i turisti israeliani e via con altre amenità. Si tratta di vedere chi vincerà questa gara; quello che è certo è che a Gaza c’è un’altra realtà.

Un altro film a Gaza

Prendiamo atto che tutti questi interventi risultano scomposti e controproducenti perché a Gaza si sta svolgendo un altro film. Fino al 7 ottobre 2023, i malati di Gaza andavano a curarsi in Israele (vedi Yahya Sinwar, operato di tumore al cervello in Israele), mentre ora i poveri “infanti” vengono accolti in Italia dopo tre ore di volo (da Tel Aviv, naturalmente) e accompagnati da otto genitori ognuno. L’Italia è felice perché può continuare a scambiare armi con Israele (almeno questa è la buona novella cui tutti dobbiamo credere), mentre accoglie i palestinesi bisognosi. C’è una poesiola di Trilussa sull’ipocrisia della gente, che racconta la vita di una pallottola umanitaria: in punta è di piombo e sul retro ha un batuffolo di ovatta (in dialetto romano “bambacia”), cosicché “la palla sbucia e la bambacia attura”.

Questa realtà si traduce nell’impossibilità di trovare una soluzione; prendiamo per esempio quello che è riuscita a combinare la Francia, che ha dato inizio alla gara a chi riconosceva per prima lo Stato di Palestina. Ovviamente senza sapere chi lo governerà, con quali idee, ma, soprattutto, dove e con quali confini; e in più senza nemmeno chiedere il rilascio di tutti gli ostaggi, ancora in mano ad Hamas. A proposito di Francia e Spagna, viene in mente che queste due nazioni intorno al 1500 hanno iniziato una guerra non convenzionale con i popoli della Guyana e del Messico. Fu una vera guerra batteriologica, che infettò con il “morbo gallico” e con il vaiolo l’intera popolazione azteca causandone la scomparsa. Pensiamo che noi dovremmo prendere lezioni da questi Paesi…

Una piccola digressione storica: ben prima che Jenner scoprisse il vaccino per il vaiolo, gli ebrei non si ammalavano di questa malattia perché erano gli unici a lavarsi, ma soprattutto perché per vivere facevano i lavori più umili, come quello di mungere le mucche; prendevano quindi spontaneamente il vaiolo vaccino, restando immuni a quello umano e per questo venivano accusati di essere degli untori. Niente di nuovo sotto il sole.