Fanpage è un tabloid online di notizie e gossip, una specie di Dagospia che però affetta seriosità engagé. Naturalmente partecipa alla campagna diffamatoria che fa uso del termine “genocidio” a proposito della guerra di Gaza. Lunedì scorso, per esempio, postava sui propri social le immagini di una piazzata in cui una folla napoletana si sdraiava per terra “simulando i corpi delle vittime innocenti del genocidio palestinese”. Uno spettacolo vergognoso che Fanpage, con prosa da Festival di Sanremo in siparietto impegnato, definiva “un flash mob crudo, potente, necessario”.
Questo è il livello, per capirsi. E l’altro giorno Fanpage se ne esce con l’“inchiesta” su Israele che, per screditare Francesca Albanese e l’Unrwa, “manipola Google”. Albanese è quella secondo cui gli Stati Uniti sono soggiogati da una lobby giudaica, quella che si fa fotografare tra gente bardata di kefiah all’ombra di cartelli che inneggiano al boicottaggio di Israele, quella che esorta “i sindacati, gli avvocati, la società civile e i comuni cittadini a fare pressione per boicottare, disinvestire, imporre sanzioni, ottenere giustizia per la Palestina”. Un portamento buono se a tenerlo è un’attivista da corteo, non una consulente delle Nazioni Unite cui incombono obblighi di ritenutezza e indipendenza platealmente travolti da quel fervore da liceo in occupazione. Quanto all’Unrwa, si sa: è l’agenzia dell’Onu infestata di terroristi il cui personale ha partecipato ai massacri e ai rapimenti del 7 ottobre, ed è gravemente e vastamente compromesso con Hamas.
Bene, che cosa avrebbe fatto Israele, secondo Fanpage, per “manipolare Google” al fine di screditare Albanese e quell’agenzia dell’Onu? Avrebbe, svela Fanpage, usato il servizio Google Ads affinché le proprie inserzioni in Rete risultassero in cima nella restituzione dei risultati di ricerca. Il guaio è che non si tratta di una “manipolazione”, ma di un servizio perfettamente legale cui ricorrono tutti (imprese, enti, associazioni, istituzioni) appunto per “posizionare” i propri annunci. E non solo il sistema è perfettamente legale, ma è rigorosamente protetto dall’ordinamento e dalla giurisprudenza affinché sia garantita la possibilità degli operatori di far conoscere sé stessi, i propri prodotti, i propri servizi, la propria immagine al pubblico dei lettori, degli utenti, dei consumatori.
Non è una cospirazione sionista. Si chiama libertà di comunicazione, di concorrenza e di informazione secondo la legge uguale per tutti. Sempre che il capocaseggiato – pardon, Fanpage – sia d’accordo.
