Proviamo a fare un gioco, uno di quei vecchi cari giochi di ruolo di una volta dove ci si immedesimava in un personaggio di fantasia e si vivevano avventure al limite della realtà. Supponiamo perciò di essere un imprenditore italiano, non necessariamente uno di spicco, ma uno dei tanti seri, concreti imprenditori italiani che compongono il prezioso tessuto produttivo manifatturiero che rende il nostro Paese un’eccellenza nel mondo.
Poi supponiamo di aprire un giornale la mattina e di leggere la notizia che, dopo anni di scorribande di gruppi stranieri che hanno acquistato e fatto a pezzi le imprese nostrane in ogni settore; che dopo anni di messa in liquidazione per due euro di interi settori produttivi svenduti con tanto di prostrazione e senza resistenza alcuna a “partner” tedeschi, francesi o inglesi (ogni riferimento a fatti realmente accaduti è puramente casuale, lo aggiungo come disclaimer perché vuoi mai…); che dopo anni di assoluta inerme accondiscendenza di governi tecnici e non (anche qui vale la regola del disclaimer perché non si dica mai che si tratta di una critica prevenuta), in una strana e inconsueta mattina d’estate, complice forse il caldo, l’incredulo lettore, magari un artigiano del Nord Est o un albergatore del Salento, legge, stupito, che Ferrero ha lanciato una di quelle offerte che non si possono rifiutare, neanche fosse Don Vito Corleone, per l’acquisto di Kellog’s, un gigante, un marchio storico di quell’America che proprio il movimento MAGA dovrebbe rendere impermeabile a ogni interferenza esterna, con le buone o le cattive.
Poi lo sguardo del nostro lettore, sempre più incredulo e accaldato dall’emozione oltre che dal sole, cade su un altro incredibile annuncio: UniCredit è entrata tra gli azionisti della corazzata bancaria tedesca Commerzbank, nonostante il plotone di pitbull e dobermann a difesa del fortino e le cospicue dosi di Maalox spedite a calmare i bruciori di stomaco dell’inviperito premier Mertz. Ma non è tutto. Il suo cuore, già provato da questi scossoni, è colpito da un altro strale a ciel sereno: a capitolare di fronte all’ardore rinnovato delle truppe italiche è ancora una volta lo storico alleato-avversario teutonico. Il vessillo della vittoria questa volta spetta a Mediaset, pronta alla scalata del capitale della televisione tedesca Prosienbensat e a trasformare il gruppo di Cologno in uno dei poli della comunicazione più importanti d’Europa. Roba da non credere.
Ma come, si chiede il nostro sventurato lettore, non eravamo il fanalino di coda del continente? Quello dove c’è solo recessione, nessuna libertà di impresa oltre che di espressione, un paese destinato alla deriva e a sottomettersi di buon grado alle ben più illuminate direttive che arrivano da Bruxelles e con l’unica speranza di poter umilmente fare da lacchè ai nuovi feudatari americani? No, qualcosa non torna, non può essere tutto vero, non è fedele alla narrazione un’intera nazione trascinata ormai nel medio evo più oscuro e reazionario. Poi l’occhio cade sulle pagine dove si parla di rivolta sociale, di Nobel per la pace alla Albanese, di vicinanza agli ayatollah, di nuove misure per il clima, di smart cities, di terzi e quarti mandati e altre amenità. E allora il cuore già provato oltre misura ritrova un po’ di requie, fa un respiro profondo e si rassicura. Era solo un gioco di ruolo, per fortuna. Un caso di scuola diciamo. Dopo le pagine dello sport si può chiudere il giornale e ritorna il sorriso. Va tutto bene.
