“Con l’ultimo decreto legge che tratta alcune “disposizioni urgenti in materia di politiche di coesione e per il rilancio dell’economia nelle aree del Mezzogiorno del Paese”, il Governo ha completato la governance sugli strumenti e sui fondi per il Sud. Provvedimento normativo che avrà, prevedibilmente, un iter complesso, a partire dalla conversione in Parlamento.
Da una lettura rapida quello che balza agli occhi è un accentramento delle responsabilità. Si sposta il controllo delle risorse dal territorio a Roma e si riducono contestualmente i centri decisionali. La dotazione finanziaria del Fondo di Sviluppo e Coesione, storica cassaforte delle Regioni, sarà impiegata in coerenza con le politiche settoriali e con le politiche di investimento e di riforma previste nel Piano nazionale per la ripresa e la resilienza. In poche parole prima il PNNR e poi tutto il resto.
La programmazione unitaria delle risorse dovrà seguire le linee nazionali, secondo princìpi di complementarità e di addizionalità. Un giro di norme e articoli che, nei fatti, tolgono poteri alla periferia per portarli al centro. Cosa giusta se non si vuole frammentare e parcellizzare. Pianificazione, controllo e monitoraggio hanno bisogno di una forte regia nazionale. Il piano Sud ha una sua omogeneità e merita una risposta globale. Da questo punto di vista il Ministro Fitto ha perfettamente ragione.
Ma lo scontro politico ci sarà. Il Presidente Campano, di centrosinistra, con la proverbiale ed efficace sintesi ha definito questa nuova governance un imbuto. È lo stesso governatore che non risparmia battute velenose al Ministro degli affari europei con delega alla coesione territoriale, ma è anche quello che non brilla per capacità di spesa dei fondi europei.
I risultati sullo sblocco delle varie tranche del PNRR danno ragione, invece, al Ministro, che ha costruito un proficuo rapporto di collaborazione con gli uffici della Commissione europea. Con le Regioni lo scontro non finirà qui, anzi è presumibile che si sposterà su presunti profili di costituzionalità del decreto legge.
Il nuovo quadro normativo cambia radicalmente anche gli strumenti amministrativi e gestionali: Il Dipartimento assorbe le competenze della vecchia Agenzia per la coesione e la nuova Struttura di Missione accorpa le precedenti otto Zes riducendole a una.
Ultima considerazione. Il centrosinistra aveva costruito la vecchia Governance con più attori fortemente legati alla politica, e cercando sempre le intese con le Regioni. Così per l’Agenzia per la Coesione, come per le varie Zes. Decine di nomine vicine ai partiti con il compito di soddisfare le richieste che venivano dalla periferia e di leggere le dinamiche economiche e sociali delle varie aree di riferimento. Una macchina ben oliata che ha generato assunzioni, contratti e ricerca del consenso. Con la nuova governance tutto è azzerato. Via le nomine gestite dai politici e al loro posto dirigenti dello Stato alla guida dei due nuovi organismi decisionali. Strutture queste “alle dirette dipendenze del Ministro per gli affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il PNRR”.
