Il viaggio verso Gaza
Flotilla, il generale Chiapperini avverte Greta e gli attivisti: “Rischiano pene da tre anni fino all’ergastolo”
Colloquio con Luigi Chiapperini, Generale di Corpo d’Armata dei Lagunari in quiescenza, già comandante dei contingenti multinazionali in Kosovo, in Libano e in Afghanistan, nonché analista militare del Centro Studi dell’Esercito.
Generale, qual è la condizione giuridica della cosiddetta Flotilla?
«Le 43 imbarcazioni, più altre 8 che si stanno unendo alle prime, hanno lasciato le acque territoriali greche e sono in navigazione verso le coste israeliane. A bordo ci sono persone di 44 nazionalità diverse tra le quali una quarantina di italiani di cui 4 parlamentari. A prima vista si tratta di un gruppo di natanti disarmati battenti bandiere di varie nazioni che trasportano persone e cose in acque internazionali. Ma non è esattamente così. Le 45 tonnellate di aiuti umanitari per Gaza che sarebbero a bordo delle imbarcazioni secondo l’intenzione degli organizzatori verrebbero consegnate direttamente nella Striscia senza alcuna intermediazione e forzando il blocco navale israeliano in atto dal 2009. Ed è proprio questo il punto dirimente: voler sfondare il blocco navale espone la Flotilla ad azioni già in acque internazionali volte a dissuaderla dal portare a termine la missione».
Qual è la condizione giuridica delle acque antistanti la Striscia di Gaza?
«Pur con il riconoscimento sulla carta della Palestina da parte di molti Paesi, questa non esiste ancora in quanto mancano gli elementi costitutivi di uno Stato: un territorio dai confini determinati, un popolo stanziato su tale territorio e un’autorità suprema in grado di governare. Specialmente quest’ultimo punto risulta molto controverso in quanto chi attualmente “governa”, se così si può dire, la Striscia di Gaza è Hamas, che è considerata un’organizzazione terroristica da Israele ma anche dal blocco occidentale, quindi da UE, USA, Canada, Regno Unito, Australia, Nuova Zelanda, Giappone, Organizzazione degli Stati Americani, Argentina e, a seguito del pogrom del 7 ottobre 2023, dalla Svizzera. Non considerano Hamas un’organizzazione terroristica tutte le altre nazioni a partire dallo sponsor principale che è l’Iran, quelle mediorientali e quelle che fanno capo alle oligarchie, alle autarchie e alle dittature, come Russia, Cina e altre nazioni del cosiddetto “Sud globale”, la cui scelta si deve leggere in chiave essenzialmente antistatunitense e antisemita. Un cortocircuito che coinvolge un po’ tutto il mondo ma che evidentemente allo stato dei fatti ci spinge a dire che quelle acque sono di fatto acque israeliane».
Avendo dichiarato l’intenzione di forzare il blocco navale israeliano, in quale situazione giuridica si andrebbe a mettere la Flotilla, e con quali conseguenze diplomatiche, politiche e militari per le barche e per le autorità italiane?
«Nel momento in cui le imbarcazioni entrassero senza autorizzazione nelle acque territoriali israeliane, diventerebbero obiettivi legittimi. La diplomazia, specialmente quella del nostro Paese e del Vaticano, sta tentando di mediare avanzando l’ipotesi dello sbarco dei beni umanitari a Cipro e della consegna degli stessi al Patriarcato latino di Gerusalemme. C’è anche il suggerimento di far sbarcare gli aiuti nel porto di Ashdod in territorio israeliano. Sono però tutte proposte che al momento sembrano essere state rigettate dagli organizzatori che rivelano così che quella della consegna degli aiuti sembra più una scusa. Il vero obiettivo è politico ed è quello di mettere in difficoltà Israele. Ma se la Flotilla perseverasse nel tentativo di forzare il blocco, si esporrebbe a pericoli molto grandi e difficilmente gestibili. L’ambasciatore italiano Luca Ferrari ha chiesto al Presidente israeliano Herzog garanzie sull’incolumità degli attivisti. In tal senso Israele avrebbe dato ordine di non usare la forza letale in acque internazionali e probabilmente condurrà azioni di dissuasione con droni. Ritengo che non ci saranno azioni fatali neanche nel caso la Flotilla tentasse di forzare il blocco navale. In quel caso credo che si assisterebbe ad azioni di abbordaggio, presa in custodia degli attivisti e sequestro delle barche. Sarebbero comunque operazioni complesse non prive di conseguenze drammatiche dovute a possibili incidenti sempre possibili in fasi che si prevedono concitate. È già accaduto in passato: nel 2010 un’analoga iniziativa di attivisti turchi finì con ben nove vittime».
Il comportamento della Flotilla sta raffigurando reati per il codice penale italiano e/o per le normative internazionali, reati per cui potrebbe essere denunciata?
«L’eventualità esiste. L’Italia sta facendo veramente molto per scongiurare situazioni critiche e per soccorrere in caso di necessità le persone a bordo delle imbarcazioni. Ha inviato prima Nave Fasan e poi Nave Alpino della Marina Militare per fornire assistenza sulla base della legge del mare. Ma quelle navi, che va sottolineato sono state distolte da altri compiti prioritari come il monitoraggio del naviglio ostile nel Mediterraneo, non potrebbero intervenire nel caso in cui Israele dovesse condurre azioni a tutela della propria sicurezza. Gli equipaggi violerebbero l’Art. 244 del Codice Penale, riguardante atti ostili verso uno Stato estero che espongono lo Stato italiano al pericolo di guerra o che possano turbare le relazioni con uno Stato estero. A seconda della gravità delle azioni e delle loro conseguenze, le pene che rischiano gli equipaggi della Flotilla variano da tre anni di reclusione all’ergastolo».
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