Flotilla, Papa Leone XIV non si fa sedurre. E Pizzaballa è fermo al 1948

Papa Leone è stato chiaro: non si farà strattonare da qualche scalmanata istanza che gli chiede di imbarcarsi come novello Acab sulla Flotilla, direzione Gaza. Lo ha fatto per ragioni tattiche, ma soprattutto di strategia politico-culturale. Intuitiva la ragione tattica: il Santo Padre, per la sua leadership morale, universalmente riconosciuta, non deve apparire di parte. La seconda, non meno importante, è strategica. La Segreteria di Stato, negli ultimi mesi, secondo molti osservatori, è sembrata appiattirsi sulle posizioni troppo filopalestinesi del patriarca di Gerusalemme Pizzaballa.

Pizzaballa è fermo al 1948

Il problema della linea del cardinale Pizzaballa, non condivisa da molti del collegio cardinalizio, è di essere rimasto fermo al 24 ottobre 1948. Mentre sul piano teologico la Chiesa cancellò il suo pregiudizio antigiudaico nel novembre 1961, approvando il documento conciliare Nostra Aetate, essa oggi rischia con Pizzaballa, al contrario, di restare ferma all’antisemitismo politico dell’enciclica In multiplicibus curis di Papa Pacelli, promulgata appunto a fine ottobre 1948. Pizzaballa e i suoi seguaci ricalcano lo spirito di quel documento quando riaffermano che, per la Santa Sede, il riconoscimento dello Stato palestinese è un dato di fatto incontrovertibile, senza se e senza ma.

Parlare di Israele

Parlare di Israele dal punto di vista cattolico significa l’impossibilità di distinguere l’aspetto religioso, antigiudaismo, dall’aspetto politico, antisemitismo. La posizione di Pizzaballa è in linea di continuità con quella che le gerarchie vaticane espressero sin dalla fine della Prima guerra mondiale: ossia, preservare il più possibile il carattere cristiano della Palestina. Al punto tale che “la presenza futuribile di un dominio arabo-musulmano sulla Terra Santa è stata sempre percepita come male minore rispetto al dominio totale dello Stato ebraico”, come ha scritto Silvio Ferrari. Ma ho l’impressione che l’eminentissimo cardinale abbia fatto male i conti. In che senso?

Il punto di Giorgia Meloni

Nella storia del cattolicesimo, almeno italiano, l’atteggiamento del mondo cattolico considerava la questione Israele soprattutto da un punto di vista teologico. Dopo il Concilio, non più. Per molteplici fattori, in primis la secolarizzazione dei christifideles laici e la radicalizzazione islamica, la questione per buona parte, credo maggioritaria, del composito universo cattolico italiano si è trasformata in questione politica. Ciò ha trasformato l’antigiudaismo di matrice religiosa in antisemitismo di natura politica. Con un capovolgimento degli schieramenti all’interno della Chiesa cattolica, gerarchica e non: se prima gli antigiudei si annoveravano fra i conservatori della destra teologica, adesso gli antisemiti si ritrovano soprattutto negli schieramenti della sinistra politica e parlamentare cattolica. Solo che adesso questi ultimi sono in minoranza, di là dal Tevere e soprattutto di qua dal Tevere. La cattolica Giorgia Meloni, se terrà il punto, mostrerà di essere, da una posizione non laicista, una laica fedele allo spirito del Concilio. Ed espliciterà, più o meno consapevolmente, una pietra d’inciampo per la parte cattolica rappresentata in Parlamento. Con inevitabili ricadute politiche e culturali.