La Flotilla sbarca prima a Copenaghen che a Gaza. Al vertice Ue sulla difesa, sono i governi italiano, greco e spagnolo a occuparsene. Con la terra in vista si teme l’escalation. Il ministro italiano della difesa, Guido Crosetto, ha garantito la difesa delle navi italiane in caso di offesa agli attivisti. Il rebus sta però qualora avvenisse lo sbarco. Gli attivisti hanno già detto che un’azione forte da parte di Israele, l’arresto o il blocco delle barche, sarebbe accolta come un atto di pirateria. È tutto in divenire. Soprattutto le polemiche preventive e i processi alle intenzioni.
Merita invece riflettere sulla posizione della Spagna. Per la prima volta, il premier Pedro Sanchez è in linea con Giorgia Meloni. «La Spagna sta facendo esattamente come noi», ha fatto notare la stessa presidente del consiglio. Madrid ha infatti raccomandato alle barche a non entrare nella zona di esclusione stabilita da Israele nelle acque antistanti Gaza. È facile immaginare quanto sia stato faticoso per Sánchez questo invito alla cautela. Dopo questi anni di barricate pro-Pal, la “ragion d’Europa” impone al primo ministro iberico di cambiare rotta. Non è detto che la decisione sia definitiva. La Flotilla è ancora in navigazione. È possibile che la cronaca dei prossimi giorni offrirà nuove prese di posizione isolate e contro corrente all’unico governo di sinistra populista in Europa.
Quella di Sánchez è una linea che poggia su valide motivazioni. Ben poco condivisibili. Scandali e inchieste di corruzione aleggiano intorno alla sua persona. Chiamano in causa fratello, moglie e stretti collaboratori. La drammatica gestione dell’alluvione di Valencia lo scorso anno – con 215 morti – il black out della passata primavera e gli incendi a luglio hanno messo in luce il fallimento delle politiche green portate avanti a ogni costo. Per evitare di rispondere di questi errori, Sánchez è andato a cercare un diversivo. Un problema esogeno al contesto spagnolo, contro il quale poter far leva sull’opinione pubblica nazionale. Per ragioni di lunga data, la Spagna è un Paese con una ridotta comunità ebraica. Perché allora non prendersela con Israele? Magari anche alimentando un pregiudizio antisemita ridotto allo squallido luogo comune e ininfluente in termini statistici. Del resto, la causa palestinese è stata affiancata più volte a quella basca e catalana. Derive di autodeterminazione, contrastate con fermezza dai popolari, ma con cui Sánchez è sceso a patti per arrivare al governo nazionale.
Al premier spagnolo fa i suoi calcoli, quindi. Mixa populismo e sovranismo. Mira alla pancia dell’elettore, sollecitandone l’idea che la paura della guerra è tutta un’esagerazione. Cos’ha da temere la Spagna, del resto? La sua economia viaggia al +2,6% di Pil quest’anno. Le crisi che affliggono Bruxelles, Ucraina e Gaza appunto, sono lontane migliaia di chilometri. Qual è il motivo per cui il paese dovrebbe spendere di più nella difesa? Morire per Kyiv e Tel Aviv? No, gracias! Assecondare Trump? Assolutamente no. Anzi, nella trattativa di luglio sui dazi, Sánchez irrita talmente Washington che quasi salta l’intero negoziato. Con astuzia e forse qualche rischio, il leader spagnolo gioca le sue carte in anticipo rispetto a qualunque collega europeo. Già a novembre 2023, quindi un mese dopo il progrom al Nova Festival, dice in faccia a Netanyahu di essere preoccupato per la sorte dei civili a Gaza. L’anno dopo, riconosce lo Stato palestinese. Desta scandalo. Visto però che nessuno in Ue gli dice: “attento, non esagerare”, tenta il fuoricampo. Sánchez inizia parlare di genocidio. La Spagna applaude.
Una decina di giorni fa, il Royal Elcano Institute di Madrid ha detto che l’82% degli spagnoli che ritiene le azioni israeliane a Gaza vadano classificate appunto come genocidio. Da qui la scelta di sostenere la Flotilla. Il governo di Madrid ha detto che gli attivisti stanno compiendo un’azione encomiabile. Con una punta di complottismo, viene da chiedersi se l’impiego della fregata Furor, inviata per assicurare un supporto di emergenza e monitoraggio, non abbia anche la valenza politica tale per cui qualsiasi atto contro le barche a possa essere interpretato come ostile anche nei confronti di Madrid. Non che questo possa portare a chissà cosa. Però rientrerebbe nella logica provocatoria di Sánchez. Qualche giorno fa, Madrid ha vietato il sorvolo i cieli spagnoli agli aerei Usa che trasportavano equipaggiamento militare destinati a Israele. Con questo sgarbo, però, si sale di livello. Si entra nella sfera della Nato. La cosa, volendo, potrebbe farsi seria.
La sinistra europea sembra non avere ancora colto il problema. C’è “uno dei loro” che si comporta in assoluta autonomia. A Sánchez, Bruxelles sembra andare stretta. Non è il solo. Nell’Europa dell’est, quanti sono i premier che hanno messo in discussione le indicazioni dell’Ue e della Nato? Le azioni di Madrid dovrebbero destare lo stesso imbarazzo di quelle di Ungheria e Slovacchia. Ma lui è di sinistra e quindi glielo si può concedere.
