«Ci troviamo in una fase di passaggio verso una nuova dimensione postliberista». Rana Foroohar, editorialista e vicedirettrice del Financial Times, esprime la propria diagnosi sul possibile cambiamento di paradigma che, complici le avvisaglie di guerra commerciale adombrate dalle politiche tariffarie annunciate e promosse dal presidente statunitense Donald Trump, potrebbe mutare il volto dell’economia internazionale. Il nuovo saggio di Foroohar, La globalizzazione è finita. La via locale alla prosperità in un mondo post-globale – pubblicato in Italia da Fazi Editore nella traduzione di Michele Zurlo -, indaga per l’appunto dinamiche e contraddizioni endemiche alla crisi della globalizzazione neo-liberista che stiamo attraversando.
Foroohar, la Casa Bianca minaccia nuovi dazi al 50% per l’Europa a partire da giugno, per poi rinviarli al 9 luglio. C’è ancora spazio per nuove trattative?
«Assolutamente. Trump non è altro che un negoziatore».
Il tycoon annuncia, al momento, dazi per l’Europa ma non per la Russia. Per quale motivo, a suo avviso?
«Credo che Donald Trump ammiri la forza che Putin trasmette, e lo consideri – erroneamente, a mio avviso – un amico personale. Dato che reputa di intrattenere un rapporto di amicizia con il leader del Cremlino, nel mondo di Trump ciò significa che anche gli Stati Uniti e la Russia dovrebbero essere amici».
Ad aprile, all’indomani dello scorso annuncio dei dazi, per il mercato statunitense e quelli europei è stato, a livello di rendimenti, il giorno peggiore da marzo 2020. Il presidente statunitense ha affermato: “Vinceremo. Resistete, non sarà facile, ma il risultato sarà storico”, per poi sospendere le tariffe per 90 giorni. Qual è la sua opinione in merito?
«Leggo le mosse di Donald Trump in due modi. In primo luogo, persiste l’atteggiamento caotico del presidente stesso: la sua tendenza a intraprendere azioni provocatorie unilaterali che, in realtà, riguardano il suo bisogno di controllo, potere, ecc. Ma i dazi sono parte di qualcosa di più ampio, che rappresenta uno storico allontanamento dall’ordine neo-liberista dell’era di Bretton Woods. Questo non è inaspettato. Da tempo, ormai, è chiaro come il sistema di mercato globale si stia allontanando troppo dagli interessi del pubblico votante negli Stati nazionali, che è ovviamente ancora il luogo in cui si fa politica. Lo si può riscontrare nella politica più polarizzata, da entrambe le parti, sia negli Stati Uniti che in Europa».
Con quali conseguenze?
«Idealmente, avremmo avuto una transizione più facile verso una nuova era, un’era in cui le istituzioni di Bretton Woods, in particolare l’OMC, sarebbero state riformate per tenere conto degli effetti distorsivi delle grandi economie statali come la Cina (è importante ricordare che il sistema del dopoguerra è stato creato da Stati Uniti ed Europa e non ha tenuto conto dell’ascesa di sistemi fondamentalmente diversi). I pendoli politico-economici, tuttavia, si spostano sempre per adattarsi ai tempi e, che sia un processo fluido o dirompente, siamo nel bel mezzo di un processo di transizione verso un mondo post-neoliberista».
La guerra dei dazi innescata da Donald Trump potrebbe rappresentare lo scossone definitivo inferto alle dinamiche della globalizzazione?
«Trovo che il vero cambiamento sia avvenuto durante il primo mandato di Trump, quando l’allora USTR Bob Lighthizer sollevò la questione delle pratiche commerciali sleali – della Cina in particolare – e chiese un nuovo approccio al commercio. Tale approccio fu ampiamente copiato dall’amministrazione Biden, ma con importanti aggiunte, come l’invito agli Stati Uniti a collaborare con gli alleati per riformare le istituzioni di Bretton Woods e procedere verso un mondo post-Washington Consensus in cui si stabiliscono limiti minimi, anziché massimi, per gli standard ambientali e del lavoro in materia di commercio globale. Joe Biden ha anche utilizzato la politica industriale per sostenere le industrie nazionali, cosa che Trump non ha ancora fatto».
Cambieranno gli equilibri internazionali?
«Credo che il caotico lancio di dazi doganali avvenuto durante il secondo mandato di Trump possa avere l’effetto di porre fine alla globalizzazione guidata dagli Stati Uniti nell’ultimo mezzo secolo, perché il resto del mondo si è reso conto di non poter contare su ciò che questa amministrazione farà giorno per giorno».
Nuovo accordo commerciale fra Usa e Cina che riduce la maggior parte dei dazi. Un approccio legittimo ed efficace, quello di Pechino, che si è mostrato risoluto a fronte degli annunci tariffari statunitensi?
«Credo di sì. Quella che era iniziata come una guerra tariffaria contro il mondo si è trasformata in una strategia incentrata sulla Cina. Idealmente, Stati Uniti ed Europa dovrebbero comprendere insieme la necessità di costruire una strategia condivisa contro il mercantilismo cinese. Ma penso anche che l’Unione europea non possa permettersi di essere intimidita dall’amministrazione Trump. I dazi potrebbero essere una strategia esterna, ma il reale obiettivo cui l’Europa dovrebbe aspirare è raggiungere una vera unificazione politica ed economica».
Il senatore Ted Cruz teme che le scelte di Trump possano causare “un bagno di sangue politico per i repubblicani” nelle elezioni di midterm. Timori giustificati?
«Se gli americani cominciano a sentire il dolore dell’inflazione e a considerarne responsabili Trump e i repubblicani, allora certamente ciò potrebbe ribaltare la situazione politica alle elezioni di medio termine».
