Con un post pubblicato giovedì sui suoi canali social, la relatrice speciale dell’ONU per i Territori palestinesi occupati, Francesca Albanese, ha lanciato un durissimo attacco contro l’Unione Europea, accusata senza mezzi termini di essere complice del “genocidio” israeliano a Gaza.
«L’UE, che si era già disonorata firmando anni fa l’accordo di associazione con l’Israele dell’apartheid, ora si rifiuta di sospenderlo. Questo è l’elemento finale che dimostra come l’Unione stia sostenendo consapevolmente il genocidio in corso». Queste le parole testuali dell’esperta ONU, che conclude invocando una rottura dei rapporti commerciali con Israele e chiede agli Stati membri di attivare la Corte di giustizia dell’UE.

Dichiarazioni che alimentano una retorica unilaterale e incendiaria, sovrapponendo ruoli istituzionali e militanza politica. Albanese non fa riferimento ad alcun elemento probatorio o giuridico: si abbandona a espressioni che suonano come un invito esplicito alla rottura diplomatica. Nel frattempo, come ricordato dal ministro degli Esteri Antonio Tajani, le sanzioni imposte dagli Stati Uniti contro Albanese sono «legate al ruolo che svolge presso le Nazioni Unite» e non alla sua cittadinanza italiana. Rimane il rischio di una doppia crisi di credibilità: da una parte per l’istituzione ONU, che continua a mantenere Albanese nel suo ruolo nonostante le denunce di parzialità; dall’altra per l’Unione Europea, messa sotto accusa con linguaggio accusatorio e delegittimante da chi sarebbe chiamato a costruire dialogo tra le parti.

Il diritto internazionale non dovrebbe servirsi di proclami, ma di prove. Poco importa. Certa politica, trovandosi orfana di leader veri, adotta quelli che capitano di passaggio. E li porta in processione di municipio in municipio come una madonna pellegrina. Come accade con la Relatrice speciale: da misconosciuta funzionaria è ormai diventata icona totemica di un attivismo ideologico, celebrata da una certa sinistra come martire laica e profetessa del verbo antioccidentale. A Napoli, il consigliere comunale di Sinistra Italiana, Rosario Andreozzi, ha proposto di conferirle la cittadinanza onoraria partenopea. A Bari, durante l’evento “La Ripartenza” di Nicola Porro, il sindaco dem Vito Leccese ha annunciato solennemente: «Ho intenzione, e lo dico con orgoglio, di dare le chiavi della città a Francesca Albanese». Si è mossa anche Milano, dove il consigliere Enrico Fedrighini ha depositato una mozione nello stesso senso.

E le si vorrebbe persino conferire il Premio “Duca di Amalfi – Maestro del Diritto”, assegnato in passato a giganti come Cassese, Grossi, Tesauro. Lo scopo? «Riconoscere il contributo della giurista campana al diritto internazionale». In realtà, una legittimazione per chi ha firmato un rapporto dal sobrio e imparziale titolo «From Economy of Occupation to Economy of Genocide». Come ha scritto Francesco Cundari, «Albanese sta alla questione israelo-palestinese come Orsini a quella russo-ucraina»: una caricatura intellettuale, utile a chi cerca slogan, non soluzioni. Noi del Riformista le abbiamo posto cinque domande precise con riferimento al suo iter di selezione e al suo curriculum. Alla faccia dei proclami, dei diritti e della trasparenza, Albanese si è guardata bene dal rispondere su questioni che la riguardano personalmente.

In questo contesto si inserisce il contro-esposto presentato dal Comitato Wiesenthal a difesa del giornalista Maurizio Molinari, attaccato per aver riportato critiche proprio a Francesca Albanese in un’intervista televisiva. Un gesto che rivendica il diritto-dovere di esercitare informazione critica (documentata, motivata, argomentata) senza essere minacciati di sanzioni disciplinari. A sottoscriverlo, già oltre ottanta giornalisti professionisti. L’Ordine dei giornalisti del Lazio, nella sua sezione disciplinare, dovrà tenerne conto e rispondere. Il caso Molinari è talmente grave da meritare qualcosa di più di una scontata archiviazione: deve diventare un monito per riflettere su quel che sta diventando il confronto pubblico al tempo dell’Occidente radicalizzato.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.