Speriamo che ciascuno faccia la sua parte
Francesca Albanese “l’intoccabile”, tutte le verità che mancano sul caso della relatrice Onu: le domande del Riformista aspettano una risposta
Una Relatrice molto speciale. Abbiamo chiesto “Chi ha voluto Francesca Albanese in quella posizione?” e le reazioni a una semplice e legittima domanda sono state smodate. Sembra di aver toccato dei fili invisibili. Quelli degli intoccabili, che riguardano un intreccio profondo. Ma Francesca Albanese non è un intoccabile. Come non dovrebbe esserlo nessuno tra coloro che sono chiamati a svolgere un ruolo di sintesi pubblica, internazionale. La reazione al caso Albanese ci fa capire che la pista è quella giusta. E che la nostra domanda di trasparenza non può essere liquidata con l’arroganza di chi non risponde.
La “rigorosa imparzialità”
Gli interrogativi, lontani dall’essere chiariti dall’interessata, aumentano. Se la Special Rapporteur non è un avvocato, perché sui suoi curricula – e le sue presentazioni pubbliche – lei stessa si presenta come International Lawyer? Non vogliamo essere perniciosi, ma solo la diretta interessata può soddisfare la domanda. E poi: se i criteri Onu di selezione di quella figura indicano il prerequisito di una “rigorosa imparzialità”, come si fa a sostenere che Albanese sia rigorosamente imparziale? Solo noi notiamo le incongruenze, le ambiguità, le mancate rispondenze tra il suo curriculum e i requisiti richiesti? L’analisi delle sue dichiarazioni pubbliche non lascia adito a troppi dubbi. Così come rimane del tutto incerto lo spessore del suo fascicolo di candidatura iniziale: ha sottoscritto l’application individualmente o come rappresentante di Ong? Perché quelle per cui ha lavorato non potrebbero definirsi “rigorosamente imparziali”, verso Israele, neanche con un atto di generosità. Gli uffici UNRWA nei quali si è formata come UN Officer sono stati poi disvelati – per prima dall’intelligence israeliana, poi da inchieste indipendenti – come ricettacoli di Hamas. Autentiche scuole di formazione internazionale dei miliziani con la bandiera verde.
Le ambiguità sul marito
Ed eccoci al rinnovo del mandato, nell’aprile 2025. Di nuovo, deve sottoporsi a un esame che si basa sulla “indipendenza politica e l’alto profilo internazionale”, e gli uffici che la vagliano non tengono conto delle già numerose voci critiche sollevate da più osservatori internazionali sulle sue dichiarazioni. L’Onu stessa non ci fa bella figura: una Relatrice speciale che all’indomani del 7 ottobre arzigogola tutte le giustificazioni possibili non può essere risultata agli occhi di tutti come la figura più rigorosamente imparziale. Rimane poi un ulteriore elemento da approfondire: il ruolo del marito di Francesca Albanese, Massimiliano Calì. Calì è stato consulente economico dell’Autorità Nazionale Palestinese. E non lo diciamo noi: si è descritto così egli stesso, sul blog della Banca Mondiale, come titolare quell’incarico. Questa relazione non sarebbe stata correttamente dichiarata da Albanese nella fase della sottomissione della sua candidatura Onu.
Come mai? Albanese ha negato tale circostanza, precisando: «Mio marito non è mai stato assunto o pagato dall’Autorità palestinese». La versione ufficiale di Calì spiega un incarico per la «capacità del ministero dell’Economia palestinese», che però a quanto parrebbe è stato pagato dall’Onu stessa. Un groviglio, un intreccio indistricabile di rapporti, amicizie, interessi che solo una lineare esposizione da parte di Francesca Albanese potrebbe consentirci di risolvere. Quando si pongono domande, anche scomode, si fa il nostro dovere di giornalisti. Asserragliarsi, o peggio scatenare le reazioni piccate degli amici, non aiuta. L’esposto contro il direttore Maurizio Molinari, considerato da tutti un magistrale esempio di professionista, non può essere considerato meno che irricevibile e offensivo. Ora speriamo che ciascuno faccia la sua parte.
Le 5 domande del Riformista sul caso Albanese:
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