Politica
Francia, Bayrou aspetta l’8 settembre. Sandro Gozi: “Non sarà un voto di fiducia”
Le parole dell’europarlamentare di Renew Europe, eletto in Francia per Mouvement Démocrate inducono a chiedersi se sia il caso di intervenire d’urgenza oppure ammettere che la classe politica, fuor di metafora, non ha né idee né volontà di arginare il debito pubblico
Gli storici francesi, esperti di questioni italiane, dovrebbero ricordare al loro premier, François Bayrou, che l’8 settembre è un giorno delicato. Sarcasmo a parte, l’appuntamento per cui l’Assemblea nazionale è chiamata a esprimersi sulla manovra proposta dal governo si avvicina. «Non sarà un voto di fiducia – precisa Sandro Gozi, europarlamentare di Renew Europe, eletto in Francia per Mouvement Démocrate – ma una richiesta di responsabilità. Tutta la politica francese sarà chiamata a riconoscere l’emergenza. E quindi a fornire delle soluzioni».
Parole che inducono a chiedersi se sia più urgente intervenire con un laccio emostatico per la finanza pubblica transalpina, oppure ammettere che il medico, la classe politica, fuor di metafora, non ha né idee né volontà per come arginare un debito pubblico schizzato in vent’anni a 2mila miliardi di euro. 12milioni all’ora, ha detto Bayrou per spaventare i parlamentari. Bersaglio mancato però. Visto che nessuno dei suoi interlocutori sembra disponibile a trattare. «Socialisti, Mélenchon, Le Pen e Verdi, tutti continuano a negare la realtà», aggiunge Gozi. «La Francia ha bisogno di un bilancio serio per rimettere sul binario giusto i conti. Questo è il Paese che si è più speso in Europa a sostegno di giovani, lavoratori e imprese. Dalla crisi del debito ai tempi di Sarkozy, passando per il Covid e poi per la guerra russo-ucraina, Parigi è intervenuta in modo massiccio per salvare posti di lavoro e forze produttive. Oggi è il momento di fare i conti».
Da qui la proposta di una manovra da 40-43 miliardi, che porti il deficit dall’attuale 5,4% al 4,6% l’anno prossimo, per arrivare al 2,8% nel 2029. Tempi e risorse ci sarebbero se, appunto, le istituzioni fossero in grado di prendere una decisione concorde su come agire. Ma la concordia non è materia dei populismi. Anzi, quando un esecutivo dice di tagliare i bilanci dei ministeri e congelare le prestazioni sociali – incluse indennità di disoccupazione e pensioni – senza adeguamenti all’inflazione, si offre il fianco a chi si nutre di contestazione. Ovvio, si può discutere nel dettaglio di queste misure. Da qui a lunedì prossimo, è quello che farà Bayrou con trattative e consultazioni. Gozi spiega che Palais Matignon è pronto alle aperture. «Ma per arrivare a 40 miliardi di manovra. Non a 20».
E così si svela la vera debolezza politica che sta dietro l’economia in affanno. Da inizio 2024, la Francia annovera una tempesta elettorale, alle europee, un voto anticipato e, finora, una crisi di governo che la fanno assomigliare sempre più alla nostra prima repubblica. È lo scenario adatto a chi sa muoversi nel caos. La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon porta avanti una strategia fotocopia di quella di Jeremy Corbyn a Londra. Pro-pal, con retrogusto antisemita, simpatizzante per Putin e convinto che l’idea del “tout pour le peuple” possa ancora funzionare. Sebbene a casse vuote. Gli stanno dietro i verdi (scontato) e i socialisti. Ed è questa la sorpresa. Il segretario del Ps, Olivier Faure, ha invitato il premier a non illudersi del loro sostegno. Toccare le pensioni non è cosa. E poi ha presentato un’alternativa di intervento della portata di 23 miliardi, che non ha senso. «Non possono credere che non sappiano quanto sia l’entità delle perdite», commenta l’europarlamentare. Quello di Faure con Mélenchon è un allineamento forse finalizzato a un’alleanza per le prossime comunali, a marzo 2026, ma che schiaccia i socialisti in una posizione marginale nelle grandi decisioni per il Paese. È la replica del tandem italiano Conte-Schlein, in cui a dare il passo è il primo. Anche in Francia la sinistra progressista preferisce assomigliare a un movimento di piazza, piuttosto che porsi come opposizione propositiva. «Eppure ricordiamoci che tra i socialisti in parlamento c’è un certo François Hollande».
Altra storia è quella del Rassemblement Nationale. «Lì, Marine Le Pen non si capisce cosa voglia fare. L’unica cosa è che anche lei nega l’emergenza». Il suo opportunismo è comprensibile. Vista la «testardaggine» – come la definisce Gozi – a dire che sarà lei la candidata alle presidenziali, le torna utile marcare stretto il governo. È lei stessa sotto pressione, però. Il consenso per Jordan Bardella è sempre più solido. Politico.eu, mai tenero per le tante anime della destra europea, si spende da mesi in lunghi approfondimenti su come il delfino di Marine voglia cambiare l’identità dell’estrema destra francese. «Un passaggio che non sarà per nulla indolore», osserva l’europarlamentare, sapendo come lo zoccolo duro di Rn sia poco disposto al compromesso e alla metamorfosi. Com’è stato invece per la destra italiana.
A fronte di tutto questo, perché andarsele a cercare? Era davvero necessario stuzzicare il miglior alleato sulla piazza europea, come ha fatto Bayrou puntando l’indice sull’Italia come paese che fa dumping fiscale ai danni delle entrate francesi? «Era un esempio – minimizza Gozi – avrebbe potuto parlare di Belgio come di Regno Unito. Non c’era nessuna intenzione di aprire un altro fronte e credo che questa cosa finisca qua».
Certo, l’elusione fiscale è nelle misure utili di raffreddamento per le temperature delle finanze pubbliche. Resta il fatto che la Francia sia alla fine di un’era. Macron andrà a casa tra neanche due anni, con una situazione economica per ora indifendibile. Che succederà dopo? «Mi auguro che le forze europeiste che vogliono proteggere i principi democratici e lo Stato di diritto rimangano all’Eliseo. Per quanto oggi la concorrenza degli estremismi di destra e sinistra sono davvero molto forti».
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