Francia, la crisi del governo è come una serie tv. I socialisti vogliono la poltrona del Premier

La crisi di governo francese è come una serie di Netflix. Con lo spettatore inchiodato a divorare le puntate in pochi giorni. Finita una stagione, si resta in attesa. Sicuri che ci sarà una prossima edizione. Questa è stata la settimana del pienone. Che si è conclusa con una riunione di Macron all’Eliseo, che ha tentato di riprendere le fila del discorso. Non c’è riuscito. Il “senso di responsabilità”, con cui il presidente ha convocato, nel pomeriggio di venerdì, le parti politiche interessate a uscire dalla palude evitando il voto, ha sollevato più polemiche che approvazioni.

Le lamentele

Il leader del Rassemblement National, Jordan Bardella, si è detto «orgoglioso di non essere stato invitato». La sua comandante in capo, Marine Le Pen, ha fatto notare che lasciar fuori Rn e La France Insoumise è un «rottura voluta da Macron rispetto alla sua funzione di capo dello stato». Una polemica che strumentalizza le istituzioni, ma che non è lontana dal vero. Anche Gérard Larcher, Presidente del Senato, figura super partes quindi, si è lamentato di non essere stato convocato. Una nota dell’Eliseo dice che la scelta di escludere destra e sinistra radicali è dovuta al fatto che queste non propongono altro che il voto. Anzi, Mélenchon chiede direttamente la testa di Macron. D’altra parte, escludere lo speaker della camera alta del parlamento non si giustifica. Le Monde venerdì tornava sull’isolamento del presidente, che cerca di risolvere l’emergenza soltanto con i suoi. Che però sono sempre meno.

Chiudere il bilancio ed evitare il voto

Gli obiettivi sono due: chiudere il bilancio ed evitare il voto. Per il primo, in realtà, c’è bisogno soltanto di un premier. Neanche di un intero governo. Costituzione alla mano, il primo ministro, purché non dimissionario, può mettere a posto i conti pubblici da solo. Entro il 31 dicembre. Per questo al presidente va benissimo una qualunque figura. Dalla minestra riscaldata di Sébastien Lecornu, a Jean-Louis Borloo. Vecchia conoscenza del mondo radicale, né di sinistra né macroniano, ma anche fuori dai riflettori da troppo tempo. Il problema però non è il nome. I socialisti vogliono quella poltrona. I macroniani stanno cominciando a pensare di concedergliela. Mentre i repubblicani sono sempre più dell’idea di aprire all’Rn. Tutto questo vuol dire andare verso il voto. Ora. Non il prossimo anno, come invece spera Macron, a bilancio approvato, e comunque con dei risultati poco promettenti. Se riuscisse a chiudere la partita del bilancio, si avrebbe comunque un esecutivo fotocopia di quelli precedenti, che hanno portato al movimento di piazza del “bloquons tout”.

La manovra di palazzo

Quello di venerdì è stato l’ultimo atto di una manovra di palazzo che ha permesso ai due poli estremi di divorare consenso su consenso, a spese di quel che resta del progetto riformista di Emmanuel Macron. Stando a Le Figaro, se si andasse oggi alle urne l’Rn, incasserebbe il 36% dei voti. Due punti percentuali in più rispetto alle elezioni dello scorso anno. Il blocco centrale (Renaissance, MoDem, Horizons e Udu) scenderebbe al 13-14%. Mentre l’alleanza guidata dai socialisti arriverebbe al 17-19%. Se La France Insoumise corresse da sola, si porterebbe a casa l’8%. Una presenza politica reale ben inferiore a quella percepita. Alle volte, il populismo fa paura soltanto per il tono di voi, non per i muscoli effettivi. È evidente quindi che, se le operazioni presidenziali non dovessero funzionare, a guadagnarci sarebbe per prima cosa la destra. Questa sì davvero forte. Soprattutto ora che ha i repubblicani sempre più dalla sua parte. E con i macroniani che stanno tornando a civettare con i socialisti, dicendosi disponibili a non salvare il bilancio pur di non andare a casa. Ma non facciamo spoiler. La prossima stagione di questa crisi transalpina è prossima all’uscita.