Francia, la fine di Bayrou tra compromessi trasversali ed effimeri. Macron ha generato solo governi deboli

Il voto dell’8 settembre che ha sancito la sfiducia del governo di François Bayrou è stato accolto dalla maggioranza dei francesi come la fine di una logorante agonia politica e istituzionale. Il primo ministro – che si era presentato come un mediatore, capace di conciliare le diverse anime dell’Assemblea Nazionale – al termine del suo mandato si è distinto, invece, per un parlamentarismo tutto compromessi, rinvii e mediazioni, incapace però di trovare una solida maggioranza. Tanto che Bayrou sembra aver incarnato, nella V Repubblica, il fantasma della IV. Cioè il tentativo di governare mediando tra opposti estremismi, costruendo maggioranze parlamentari precarie e provvisorie, tramite un centrismo fragile, costantemente ricattato dalle passioni radicali che agitano la politica francese.

Il leader moderato ha tentato, infatti, di navigare tra la destra anti-sistema e la sinistra ortodossa, i socialisti e i gollisti, cercando di costruire compromessi trasversali ogni volta diversi ed effimeri. Fino ad aver presentato, dopo una logorante sopravvivenza parlamentare, un piano di austerità da 44 miliardi di euro che non solo non è riuscito ad evitare la sfiducia dei suoi strenui oppositori (come la sinistra filo-islamista di Mélenchon), ma è riuscito a scontentare anche quegli avversari dell’opposizione che ne avevano però impedito la sfiducia: i lepenisti e i socialisti. L’esperimento di Bayrou si è scontrato, con vari fattori: la vendetta delle opposizioni; la diffidenza degli alleati; e, infine, l’impazienza dei cittadini. Tutti elementi che hanno fatto emergere quanto la V Repubblica, pur concepita per garantire stabilità, sembra oggi rivivere i fantasmi di precarietà e incertezza della IV.

La sconfitta di Bayrou non è però solo il capolinea del moderatismo accomodante dell’ex primo ministro. Ma soprattutto il simbolo della crisi del tecnocentrismo macroniano, e un referendum contro il suo leader. Macron, infatti, con la sua scelta di voler sciogliere l’Assemblea Nazionale ha generato governi deboli, ricattati dall’opposizione, incapaci di parlare ad una maggioranza nazionale e di risolvere l’emergenza economica e sociale. Un problema essenziale per quel partito dello “spirito repubblicano” che doveva incarnare, il pragmatismo, la stabilità e la competenza. Generando un centrismo troppo debole per condurre e troppo rigido per mediare. Allo stesso tempo, nel bilancio di Macron pesano anche gli errori in politica estera del suo confuso protagonismo internazionale ricco di fallimenti. La cacciata dal Sahel, il quasi tramonto della presenza francese in Africa, gli errori nella scacchiera mediorientale, la debolezza rispetto alle autocrazie e al trumpismo. Sconfitte politiche che ricordano le disfatte quarto-repubblicane che videro la ritirata francese dall’Indocina e dai domini africani.

Tutti fattori che fanno emergere una sfiducia verso il sistema macroniano che è confermata dai sondaggi di Odoxa-Backbone Consulting del Le Figaro. Essi rilevano, infatti, che non solo il 56% dei francesi chiede nuove elezioni legislative, ma che soprattutto il 64% di essi vuole le dimissioni di Macron ed elezioni presidenziali anticipate. Tutti aspetti che hanno reso il primo ministro il capro espiatorio della crisi francese. In questo senso, risulta chiaro il fallimento della strategia degli opposti estremismi e la narrazione di Ensemble come l’unica coalizione in grado di difendere gli interessi e i valori dei francesi. Con il voto giovanile e progressista che è fuggito a sinistra e quello conservatore e popolare che ha virato a destra. Contro ciò Bayrou ha tentato di conciliare sintesi inconciliabili, ma ogni compromesso, ogni rinuncia, ogni tentativo di equilibrismo lo ha esposto sempre più alla pressione degli estremismi e a una perdita di credibilità. Sancendone l’irrimediabile sconfitta. In questo quadro, mentre si apre il nuovo corso dell’ottimo macroniano di destra Sebastien Lecornu, appare chiaro che – salvo clamorosi cambiamenti nella bussola del nuovo esecutivo – questa sindrome quarto-repubblicana della Francia sia tutto tranne che finita. Anche perché sembra mancare un De Gaulle in grado di superarla.