Per molti, l’esperienza del premier François Bayrou era solo la cronaca di un disastro annunciato. La Francia è sempre più fragile, in crisi, difficile da gestire, apparentemente incapace di uscire da una palude in cui si è essa stessa infilata e con una società polarizzata e sempre più violenta. Tanti osservatori puntano il dito contro il presidente Emmanuel Macron, ritenuto il responsabile di una paralisi istituzionale e politica che sta facendo sprofondare la Quinta Repubblica. Secondo qualcuno, la Sesta Repubblica è di fatto già una realtà. Ma in questa lunga, caotica e logorante fase di transizione interna, il collasso del sistema francese si vede anche sul piano internazionale. Un crinale pericoloso, che non coinvolge solo direttamente Parigi ma anche l’Europa. E di conseguenza l’Occidente.
A livello continentale, Parigi ha sempre voluto rappresentare la potenza leader dell’Unione europea, sia sul piano diplomatico che su quello militare. Unica potenza dell’Ue a essere membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, unica a possedere un proprio arsenale nucleare e con un vecchio impero da difendere e su cui irradiare la propria influenza, la Francia si è sempre ritagliata un ruolo di primo piano in tutte le mosse politica europee. E l’asse con la Germania, sancito da quell’accordo di Aquisgrana siglato da Macron e dall’allora cancellerie Angela Merkel, doveva essere il simbolo di un motore franco-tedesco per tutta Bruxelles. Tuttavia, la leadership sempre più debole, una crisi finanziaria galoppante e i cambiamenti geopolitici hanno reso sempre più difficile per Macron mantenere questo ruolo.
E in questi anni, il sistema che vedeva l’Eliseo al centro della scena è tramontato con l’ascesa di altre forze (quelle baltiche in primis), con una Berlino che si sta ridefinendo, la nascita di movimenti politici molto diversi da quelli macroniani e un continente indebolito dal nuovo gioco delle superpotenze. La guerra in Ucraina, del resto, è stato uno dei simboli di questo declino della “grandeur”. Il presidente russo Vladimir Putin non ha più considerato Macron un proprio interlocutore. In sede internazionale, Parigi non ha più proposto una strategia autonoma, dovendosi necessariamente appoggiare su Londra e su altre forze Ue (la stessa Italia di Giorgia Meloni). L’invito nello Studio Ovale insieme ad altri leader europei segna una sorta di regressione della guida francese, con il Paese messo alla pari di altri ritenuti non dello stesso livello. L’autonomia strategica europea è stata soppiantata da un ben più evidente logica atlantista, a scapito delle posizioni europeiste e nazionaliste francesi. E la coalizione dei “volenterosi” nel futuro accordo di pace per l’Ucraina non può fare a meno della Nato e degli Usa.
Problemi di leadership che la Francia osserva anche in Medio Oriente. Lo scontro diplomatico sempre più aspro con Israele sul riconoscimento della Palestina non ha portato a un incremento dell’autorità francese su un territorio che un tempo era parte del suo impero coloniale. La guerra dei 12 giorni con l’Iran ha visto Parigi totalmente fuori dalla partita e lo stesso è accaduto per i negoziati sul programma nucleare di Teheran. Il Libano, dove la Francia ha sempre avuto un peso specifico rilevante, dopo l’indebolimento di Hezbollah ha visto una maggiore influenza degli Stati Uniti, che in queste ore hanno approvato un piano di finanziamento delle forze armate di Beirut per disarmare la milizia sciita. E il ritiro di Unifil dal Libano del sud, deciso per l’inizio del 2027, è stato l’ulteriore segnale che nel Consiglio di sicurezza Onu ha prevalso la linea Usa (in tandem con Israele) rispetto a quella di Parigi. Una riduzione dell’influenza che si osserva anche nello scacchiere siriano, dove la caduta di Bashar al Assad non ha prodotto un ritorno della Francia che pure si era prodigata agli inizi della Primavera araba contro l’ex leader di Damasco.
Un’influenza sempre più ridotta che si vede in modo cristallino soprattutto in Africa, dove l’ex impero coloniale francese aveva mantenuto una sfera d’influenza più o meno effettiva dalle coste mediterranee fino al cuore del Sahel. La Libia, che Nicolas Sarkozy sperava di portare sotto l’ala di Parigi, si è trasformata nel territorio di caccia di turchi e russi, con l’inserimento di Qatar, Cina e l’Italia che ha cercato di mantenere la propria posizione facendo leva sugli Stati Uniti. Il Marocco, un tempo molto legato alla Francia, si è divincolato anche sul piano dell’industria militare, preferendo le aziende israeliane. E i colpi di stato in Sahel hanno fatto evaporare la Françafrique sotto i colpi di giunte militari filorusse. La bandiera d’Oltralpe è stata ammainata dalle basi del Niger, del Mali, del Burkina Faso, del Ciad e della Repubblica centrafricana. Un vuoto di influenza che pesa sugli interessi dell’Eliseo ma anche dell’Europa, ormai priva di forza in quella regione tranne che per l’ultima missione del contingente italiano a Niamey.
