Francia, Macron mette al bando il linguaggio inclusivo

La scure conservatrice di Emmanuel Macron si abbatte definitivamente sul movimento woke in Francia. Inaugurando la Citè international de la langue française a Villers-Cotterets, il presidente francese ha confermato il suo sostegno alla legge che vieta il linguaggio inclusivo. “Non dobbiamo cedere allo spirito del tempo, dobbiamo mantenere anche i fondamenti della nostra lingua, le basi della sua grammatica, la forza della sua sintassi”, ha detto. “Basta il maschile, che nella nostra lingua è già neutro, non abbiamo bisogno di mettere puntini in mezzo alle parole o altri segni”, ha continuato colpendo l’insana abitudine di declinare il plurale al femminile. “In un momento in cui ci si torna a dividere, in cui riemerge l’odio, in cui si vorrebbero mettere le comunità l’una contro l’altra, le religioni, le origini, la lingua francese è un cemento che unifica”, ha concluso. La questione della lingua inclusiva in Francia faceva discutere da tempo: già durante la scorsa legislatura, l’ex Ministro della cultura Blanquer aveva diffuso una circolare che vietava nei documenti ufficiali l’utilizzo di schwa, trattini e altre amenità, costretto dal fatto che il germe della cancel culture stava fiorendo nelle università francesi, prontamente raccolto dalla sinistra, dai socialisti della Hidalgo, agli estremisti progressisti di Melenchon. Qualche mese fa, la questione era finita al TAR che aveva annullato la delibera di un’università bollando il linguaggio come incomprensibile.

L’Accademia di Francia si era già espressa, definendo la neolingua come un “pericolo mortale”. La Francia ha sempre conservato un forte patriottismo e una profonda difesa della propria identità: celebrandola e difendendola con determinazione. Non è un caso che il Presidente sia intervenuto proprio ora, poco dopo l’attentato terroristico che ha ucciso un professore, il secondo in pochi anni. In entrambi i casi la Francia ha reagito rafforzando sempre di più il concetto di identità e di Stato laico. Il movimento woke ha infatti le sembianze di una nuova religione: nessuna razionalità si intravede nei suoi dogmi, nessuno spazio per il dibattito, solo la volontà di decostruire e distruggere l’identità occidentale. La sovrapposizione fra l’estremismo liberal e l’estremismo islamico è emersa prepotente con il sostegno delle università americane ad Hamas e con le posizioni della sinistra ultra-progressista in Europa, Francia inclusa. Ma non è una novità.

Il caso di Mila, la giovanissima ragazza francese lesbica che vive sotto scorta per aver deriso Maometto sui social network, ha dimostrato quanto i socialisti francesi siano ormai vittime della follia woke quando Ségolène Royal ha definito la ragazza una maleducata attaccandola pubblicamente. La legge contro il linguaggio inclusivo, approvata in commissione cultura e ora in discussione al Senato, assesterà un duro colpo ai tentativi di infiltrazione della cancel culture in Francia. In Spagna intanto, dopo mesi a temere l’avvento di Vox, le dichiarazioni filo Hamas della sinistra ultra-progressista che è al governo del Paese hanno sconvolto gli intellettuali moderati. Spostandosi in Gran Bretagna, ormai permeata dal wokismo nonostante gli sforzi tardivi e totalmente inadeguati dei conservatori, si racconta con orrore sui media europei come si stia diffondendo la piaga degli assalti ai negozi. Un fenomeno che interessava gli Stati Uniti ed era totalmente giustificato dai sindaci liberal, tanto da determinare un crollo delle vendite e la chiusura di grandi catene in molte città. Di fronte al dilagare del sostegno ad Hamas da parte di questa sinistra, si sta assistendo a un grande risveglio di quella classe intellettuale di sinistra moderata che per troppo tempo si era lasciata infiltrare da queste teorie distruttive, illiberali, orwelliane o aveva semplicemente deciso di bollarle come polemiche conservatrici con un certo imbarazzo. Al contempo, nelle nuove generazioni, che si informano su Instagram e Tik Tok, queste pericolose teorie stanno prendendo sempre più piede. Un motivo in più per difendere la tenuta delle istituzioni, delle università, delle scuole, che devono diventare un potente argine culturale alla nuova barbarie.