Ciò detto, vengo ad altre osservazioni sull’articolo così felicemente provocatorio di Fausto Bertinotti. A mio avviso il Psi di Craxi, degli intellettuali socialisti, del Progetto Socialista, della tematica sui meriti e i bisogni sviluppata da Claudio Martelli, e sul lavoro di governo di Gianni De Michelis, colse tempestivamente il cambiamento di fase del capitalismo: dal capitalismo fordista a quello del salto tecnologico, dell’innovazione, della fase globalizzante, che richiedeva in Italia una grande riforma dello Stato e rapporti di lavoro meno conflittuali e più partecipativi al limite della cogestione. In un certo senso si è trattato di una posizione che conteneva in sé anche elementi utopici perché una parte della classe operaia era su posizioni duramente conflittuali e una parte del mondo imprenditoriale era sulle posizioni di una sorta di marxismo alla rovescia (non la dittatura del proletariato, ma la dittatura degli imprenditori). Forse se tutto il movimento operaio italiano si fosse spostato sulle posizioni dell’innovazione, della partecipazione, al limite della cogestione sarebbe riuscito a influenzare gli indirizzi del capitalismo e a dare una sponda a quella parte di esso che, partendo da Adriano Olivetti, aveva una visione positiva e dinamica dell’attività imprenditoriale. Del resto, come Fausto sa meglio di me, perfino sui fatti di Ungheria, per non parlare del piano del lavoro e di molti aspetti della politica sindacale, le posizioni di Peppino Di Vittorio erano molto spesso vicine al riformismo e al revisionismo socialisti, così come quelle di Luciano Lama sulla scala mobile nella sostanza erano molto vicine a quelle di Bettino Craxi e di Gianni De Michelis a testimonianza di una dialettica rispetto alla quale sempre il berlinguerismo ha rappresentato un elemento di rottura. Non a caso Enrico Berlinguer collocò Sergio Garavini accanto a Lama in funzione di guardiano del faro. Quanto poi alla tematica del “Vangelo Socialista” anch’io ritengo che Marx non sia un “cane morto” e che anzi ci offra strumenti di analisi e di interpretazione della realtà, Fausto, non di strategia della rivoluzione. Da quest’ultimo punto di vista la rivoluzione nelle punte alte del sistema capitalistico si è rivelata impossibile e l’unica via praticabile è tuttora quella che si può esprimere attraverso il compromesso socialdemocratico in molteplici versioni. L’ipotesi marxista di rivoluzione nelle punte alte del capitalismo si è rivelata impossibile e impraticabile, mentre il leninismo, cioè quello che Gramsci chiamò «la rivoluzione contro il capitale», si è rivelato uno stupro storico che, parallelamente al nazismo, ha prodotto una delle versioni più aberranti del totalitarismo (gulag, antisemitismo e carestie). Per altro verso, però, il capitalismo sta esprimendo una miriade di contraddizioni, di perversioni e di potenziali pericoli rispetto ai quali l’analisi marxista può offrire decisivi strumenti di lettura e di interpretazione funzionali anche alla sua correzione, al suo condizionamento, non alla sua eliminazione. Aggiungo che del capitalismo globalizzato, finanziarizzato e deregolamentato non tanto Marx, quanto Rudolf Hilferding con il suo Capitale finanziario può dare una lettura di straordinaria modernità: diceva Hilferding che l’eccesso di finanziarizzazione dell’economia colpisce entrambe le classi fondamentali del rapporto di produzione capitalistico, cioè gli imprenditori e la classe operaia. Non si tratta di una questione puramente teorica perché purtroppo oggi la socialdemocrazia europea e lo stesso partito Democratico americano oscillano fra estremi opposti, entrambi segnati da drammatiche sconfitte politiche: da un lato Corbyn, chiuso nel suo dogmatismo paleomarxista, dall’altro lato nella vittoria di Trump non c’è stato solo l’indubbio appoggio datogli dal sistema di internet di Putin applicato alla manipolazione delle democrazie occidentali. C’è anche il fatto che a suo tempo le principali leggi di deregolamentazione del sistema bancario e finanziario americano - che hanno prodotto la crisi dei titoli tossici che ha distrutto fabbriche, pensioni, credito al consumo di tanti americani del ceto medio e della classe operaia - sono state firmate da un presidente il cui nome è Clinton, come il candidato democratico inopinatamente sconfitto da Trump, un presidente fatto davvero su misura per la partita geopolitica di Vladimir Putin, un genio delle mosse nello scacchiere della geopolitica. Per concludere, colgo l’occasione per un’ulteriore riflessione. Di fronte alle singolari vicende proprietarie ed editoriali di Repubblica Eugenio Scalfari si presenta come il gran sacerdote del liberal-socialismo che evidentemente in questa qualità sta anche interloquendo da pari a pari con il Papa dei cattolici. Effettivamente alle sue origini Repubblica è stato il giornale dei liberal-socialisti. Poi però quel liberal-socialismo si è perso per strada: non c’entrano niente col liberal-socialismo né Berlinguer, specie nella sua fase della questione morale, della quale Scalfari fu l’ispiratore e Repubblica il braccio armato, né Ciriaco De Mita, per il quale sempre Scalfari fece una campagna elettorale dagli esiti disastrosi. A sua volta Rino Formica rileva ironicamente che, a fronte della scomparsa ormai da trent’anni dei liberali e dei socialisti come forze politiche organizzate, in questi giorni c’è addirittura una sorta di inflazione nella presentazione di prodotti editoriali di varia dimensione (autentici giganti e iniziative lillipuziane) che si autodefiniscono come socialisti liberali. Giustamente Rino rileva che: «C’è troppa confusione sotto il cielo. Mi pare che non si tratta di nostalgie, ma di presentazione di prodotto ignoto coperto da vecchi marchi». Al di là di queste condivisibili osservazioni non si può fare a meno di rilevare che mai il sistema politico italiano, malgrado il dramma che stiamo vivendo, ha presentato caratteristiche così negative. A livello di maggioranza da un lato c’è, come abbiamo già visto, un Movimento 5 stelle segnato da posizioni populiste e giustizialiste, temperate da un Pd che ha l’unico pregio di assicurare la tenuta di un rapporto con l’Europa, ma che è caratterizzato da una sostanziale assenza di progettualità politica di stampo riformista dominato dalla gestione emergenziale del potere e schiacciato dai meccanismi ereditari della sinistra Dc e del tardo berlinguerismo. A livello di opposizione, le posizioni sovraniste e razziste sono molto pericolose e sempre più contraddittorie con il centrismo popolare di Berlusconi. In mezzo a queste due involuzioni potrebbe farsi strada una forza socialista riformista a condizione che essa sia autonoma dagli opposti blocchi. Purtroppo, però, di questa forza mancano una nuova leadership, una classe dirigente, iniziative mediatiche di peso, non autoreferenziali. Esistono invece una forte cultura politica e, per altro verso, tante individualità sparse, alcune delle quali segnate da personalismi francamente ridicoli con il tempo che passa. Ma dalla cultura politica e dalle singole individualità alla aggregazione di un soggetto politico realmente autonomo e di peso c’è un salto di qualità assai difficile da realizzare. Comunque, come si dice, mai dire mai.
Furono i ragazzi di Berlinguer a spegnere il socialismo
