Di positivo, a Washington, vi è stato il fatto che Zelensky non è stato messo alle strette, non essendo stato costretto al ricatto di cessioni territoriali. D’altronde, senza ferree garanzie di sicurezza che il suo Paese non subirà più aggressioni da Mosca e che sarà in grado di difendersi, non potrà cedere su questo punto perché sa che gli ucraini non accetterebbero mai la cessione di alcun pezzo del loro territorio sottratto con la forza delle armi e difeso con il sangue da un intero popolo.
Sembra, infatti, che la questione non sia stata sollevata, almeno nei colloqui a porte aperte. E non c’è da meravigliarsene, perché l’incontro non ha prodotto nulla di concreto sulle garanzie di sicurezza, ma è stato fatto solo un accenno alla possibilità di ricalcare per l’Ucraina la garanzia prevista dall’articolo 5 del Trattato dell’Alleanza Atlantica, che prevede che “un attacco armato contro uno o più Paesi membri sarebbe considerato un attacco contro tutti i suoi membri”; dunque, in tal caso, la Nato adotterebbe le misure che riterrebbe necessarie per assistere l’alleato attaccato. Nulla di più per il Paese membro vittima dell’aggressione. Inoltre, nel caso specifico, l’Ucraina non fa parte della Nato e Trump ha già detto che non impegnerebbe gli Stati Uniti in questo senso, ma ha solo suggerito un “coordinamento” con le controparti europee.
L’articolo 42.7
Va poi detto che non è nemmeno necessario invocare l’articolo 5 della Nato, perché il Trattato istitutivo dell’Unione europea prevede un articolo che semmai è ben più impegnativo – il 42.7 – che recita così: “Qualora uno Stato membro subisca un’aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso, in conformità dell’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite”. Tuttavia, anche in questo caso, evocare la difesa collettiva appare fuori luogo perché l’Ucraina non fa parte dell’Unione europea. Oltretutto, tale proposta sembra simile al memorandum di Budapest che – con ogni evidenza – non è stato efficace perché non ha garantito la sicurezza dell’Ucraina, aggredita più volte dalla Russia, nonostante sia firmataria di quel memorandum.
Come funzionerebbero le garanzie di sicurezza
Premesso che il Cremlino con ogni probabilità non sarà disposto ad accettare la presenza di truppe di Stati membri della Nato sul territorio ucraino, e premesso che quasi tutti i Paesi della cosiddetta coalizione dei Volenterosi (in primis l’Italia) non sono disposti a inviare alcun soldato lungo la linea del fronte in Ucraina, non è ancora chiaro come funzionerebbero, esattamente, le garanzie di sicurezza occidentali. E ci si chiede: se un accordo prevedrà il ritiro ucraino dal Donbass, chi – se non la Nato o una forza militare di Peace enforcement autorizzata ai sensi dello statuto delle Nazioni Unite o l’esercito turco – potrà mai imporre la pace?
L’ingresso immediato nell’Unione
Dal momento che il Trattato Ue già contempla l’articolo 42.7 sulla difesa collettiva, sarebbe risolutivo garantire a Kyiv il semplice ingresso immediato nell’Unione con procedura ex post. L’ingresso immediato, a trattato di pace firmato, rappresenterebbe una forte garanzia di sicurezza per un’Ucraina che resterebbe altrimenti sotto la costante minaccia russa e rappresenterebbe anche un rafforzamento della sicurezza della stessa Unione europea. Ovviamente, per evitare discriminazioni, entrerebbero contemporaneamente anche i Balcani occidentali, con la stessa procedura accelerata del tutto compatibile con il diritto dell’Unione e con l’articolo 49 del TUE, base giuridica del procedimento di adesione.
Così l’Unione tornerebbe protagonista
Kyiv potrebbe entrare, immediatamente, accettando solo due condizioni: essere uno Stato membro militarmente neutrale, come è accaduto per l’Austria (perché sarebbe l’articolo 42.7 a garantirne la sicurezza), e che ai territori russofoni venga applicato un accordo simile a quello De Gasperi-Gruber del 1946 per l’Alto Adige, per garantire l’autonomia delle regioni russofone in ottemperanza dell’articolo 2 del Trattato di Lisbona sui diritti delle minoranze etniche e linguistiche. L’articolo 49 del TUE non esclude il procedimento di “adeguamento ex post” all’“acquis communautaire” dello Stato subentrante; ricordiamo anche che questa è stata la lettura data nei primi 40 anni della vigenza dei Trattati di Roma, con un accesso riconosciuto subito dopo la conferenza diplomatica di adesione e poi, con lunghi periodi transitori, l’adeguamento. L’adesione immediata dell’Ucraina costituirebbe un passo (e probabilmente il solo possibile) che permetterebbe all’Unione europea di assumere nuovamente un ruolo di protagonista in iniziative di pace che la vogliono emarginare, e costituirebbe inoltre un chiaro messaggio – alla Russia e al resto della comunità internazionale – di coesione europea e di visione strategica di difesa dei propri interessi collettivi.
