Gaza, ora Israele ha un nuovo alleato e Hamas un nuovo nemico: la realtà

La risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che ha adottato il piano per la ricostruzione della Striscia è un fatto acquisito, il quale sigilla formalmente la rovinosa sconfitta delle formazioni terroristiche intenzionate a fare del 7 ottobre e della distruzione di Gaza i due pilastri della propria ulteriore legittimazione. Ma quel fatto acquisito deve trovare riscontro nell’attuazione del piano, e le parti avversarie e recalcitranti non hanno ancora rinunciato a un disperato tentativo di opposizione.

Non si tratta solo delle dirigenze di Hamas e dell’Autorità Palestinese, le prime furibonde per essere state messe nell’angolo e le seconde indispettite per la delusione di non subentrare puramente e semplicemente al posto di quelle. Si tratta anche, anzi soprattutto, del vasto circuito che ha tenuto bordone alla pretesa – comune a entrambe quelle dirigenze – di perpetuare l’andazzo precedente: vale a dire quello che teneva in disparte, come una variabile indipendente, la necessità di chiudere e superare il capitolo di un’autodeterminazione palestinese ancora fondata sulla possibilità di tenere in scacco – e in pericolo – l’esistenza di Israele.

A questo circuito più vasto partecipano il ventre e i manipoli indipendenti delle Nazioni Unite, insubordinati al vertice – il segretario generale – che ha dovuto piegare la testa davanti all’esito di una guerra che non voleva non per i morti che ha fatto, ma perché Israele avrebbe potuto vincerla. Doveva essere la guerra destinata solo alla comune esecrazione dopo un 7 ottobre che “non veniva dal nulla”, come disse António Guterres. È stata invece la guerra che finisce con questo piano per Gaza, e che non finirà se il piano non sarà attuato. Un altro punto fermo che sa di schiaffo sulla faccia degli altri partecipanti a quel dispositivo di sostanziale protezione di Hamas, dalla Francia di Macron al Regno Unito di Starmer, le cui dichiarazioni sul riconoscimento dello Stato di Palestina appaiono ora strepitosamente per quel che erano, nulla di meglio che incaute e miopi esibizioni propagandistiche.

Ora la seconda fase del piano per Gaza – che suppone la distruzione delle residue capacità offensive delle formazioni terroristiche che ancora vi operano, e l’uso della forza per impedirne la ricostituzione – avrà corso, se avrà corso, con Israele ancora assestato sulla cosiddetta linea gialla, cioè il confine che trasforma in ridotta di Hamas la fascia occidentale della Striscia. Lo ha detto chiaramente il Capo di Stato Maggiore dell’Idf, Eyal Zamir, mentre la controparte dichiarava che avrebbe semmai ceduto le armi dopo il ritiro israeliano e solo con l’istituzione di uno Stato palestinese in Cisgiordania e a Gaza. La scena può cambiare, ma ora Israele ha un nuovo alleato e Hamas un nuovo nemico: la realtà.