Generazioni in movimento, l’odissea europea

The man expects his flight at the airport

Fino alla metà del XX secolo vivere in un altro paese europeo ed imbattersi nei suoi usi e costumi era un privilegio riservato perlopiù a personalità d’eccezione, clero e nobiltà. Con l’avvento del progetto europeo, democratizzare quest’esperienza è divenuto un obiettivo chiave. Negli ultimi decenni l’Unione Europea ha tentato di abbattere le frontiere così da consentire ai citta-dini europei di spostarsi liberamente. Tuttavia, nonostante i buoni propositi, gli europei mobili si tro-vano ad attraversare una fitta selva di ostacoli pratici che ne complicano il quotidiano. Grazie all’istituzione della cittadinanza europea con il Trattato di Maastricht nel 1993, oggi oltre 13 milioni di europei (3,1% del totale) vivono in un altro Stato membro. Gli europei mobili vengono pe-rò identificati più dai loro passaporti nazionali che dalla loro cittadinanza europea. Questo fa sì che siano oggetto di discriminazioni quando si trasferiscono nel nuovo paese.

Una delle sfide principali riguarda il riconoscimento delle qualifiche professionali acquisite in un al-tro Stato membro. Nonostante le direttive europee stabiliscano norme chiare, i datori di lavoro spes-so non considerano tali qualifiche come un indicatore affidabile di competenze ed escludono a priori i candidati europei. Similmente, i cittadini europei in cerca di un alloggio s’imbattono in richieste aggiuntive esose da parte dei proprietari, come fornire un garante con residenza fiscale nel paese ospitante, che rendono ancora più ardua la già complessa ricerca d’una sistemazione. Per affrontare queste problematiche, la Commissione Europea ha promosso il “Programma per la mobilità professionale (EURES)”, con l’obiettivo di semplificare la procedura di riconoscimento del-le qualifiche. Inoltre alcuni Stati, come la Francia, vietano esplicitamente le pratiche discriminatorie nell’accesso al mercato immobiliare. Nonostante ciò, la distanza tra disposizioni giuridiche e realtà concreta rimane ampia.

Oggigiorno, andare in pensione in un altro Stato membro rappresenta un’opzione attraente per un numero crescente di cittadini europei alla ricerca di un clima più temperato, d’una nuova esperienza di vita o della prossimità ai propri figli emigrati. Tuttavia, il procedimento per il calcolo dei diritti pensionistici è farraginoso e comporta tempi d’attesa considerevoli. Nonostante il “sistema europeo di informazione sul mercato interno (IMI)”, le autorità nazionali spesso ignorano i diritti di cui godono i cittadini mobili, il che può condurre ad errori nel calcolo dei contributi pensionistici, soprat-tutto se un cittadino ha lavorato per un periodo in un altro paese. Aprire un conto bancario e ottenere un numero di telefono locale sono due passaggi essenziali al momento di trasferirsi in un nuovo Stato. Nell’era dei servizi digitalizzati, delle super app e del fin-tech, queste operazioni dovrebbero essere facilmente eseguibili ovunque dal proprio smartphone. Ciononostante, si registra una forte discrepanza tra norme e realtà: un ostacolo maggiore all’integrazione europea e, ahimè, un indicatore del ritardo del nostro continente in termini d’innovazione.

Se la direttiva “PAD” consente ai cittadini UE di richiedere l’apertura di un “conto di pagamento di base” presso una banca di loro scelta, indipendentemente dal luogo di residenza, d’altro canto, in Spagna, ai cittadini stranieri è richiesto un identificatore fiscale assegnato ai non nazionali, il “Número de Identificación de Extranjero” (NIE), senza alcuna distinzione tra cittadini europei e non-. Una mancanza di differenziazione che solleva interrogativi sulla raison d’être stessa della ‘cittadinanza europea’. Perché un europeo mobile dopotutto preferirebbe aprire un nuovo conto bancario anziché mantenere quello del proprio paese d’origine? Una risposta possibile risiede nella discriminazione dell’IBAN, cioè il rifiuto di un ente pubblico o privato ad accettare IBAN non locali. Il Regolamento Europeo SEPA vieta tale pratica. Tuttavia, casi di discriminazione dell’IBAN sono stati segnalati a più ripre-se sulla piattaforma Accept My IBAN.
Nonostante disporre di un numero di telefono locale sia spesso imprescindibile per aprire un conto corrente, diversi operatori telefonici in paesi come Spagna, Italia, Francia o Belgio, impediscono di sottoscrivere un nuovo numero di telefono a meno di non disporre già di un numero nel paese ospi-tante – una situazione grottesca per qualsiasi nuovo arrivato.

Cosa può fare l’Europa? Ispirarsi allo spirito delle “realizzazioni concrete” proprio della Dichiarazio-ne Schuman. Innanzitutto, produrre studi, ad oggi sorprendentemente assenti, aiuterebbe a com-prendere meglio l’entità del problema. Sarebbe altresì utile promuovere meccanismi uniformi così da livellare il campo di gioco. Ad esempio in Francia Garantie Visale garantisce il pagamento di deposi-ti o l’autenticazione di qualsiasi inquilino europeo, rassicurando proprietari ed agenti immobiliari. In-fine, creare un unico prefisso telefonico per l’UE garantirebbe una maggiore semplificazione delle procedure amministrative.

L’eliminazione delle discriminazioni faciliterebbe le transazioni transfrontaliere e aumenterebbe la fiducia dei consumatori stimolando così la crescita economica. Migliorare la libera circolazione delle persone all’interno dell’UE avrebbe un secondo effetto benefico: rafforzare il senso d’appartenenza all’Unione. I cittadini mobili esposti a un’Europa che funziona saranno i primi fautori di un’Unione più forte ed integrata.

Niccolò Bianchini – Direttore delle pubblicazioni e Responsabile della ricerca
Stefanie Buzmaniuk – Fondation Robert Schuman