Giovani e PA è così che li avviciniamo? Troppo pochi gli under30 nel settore pubblico

C’è un problema: nella pubblica amministrazione non lavorano abbastanza giovani e pochi giovani vogliono lavorare nella PA. Il problema emerge anche dall’ultimo rapporto di FPA, società che da oltre 30 anni approfondisce le pubbliche amministrazioni italiane e che organizza ogni anno Forum PA, evento dedicato alla modernizzazione della pubblica amministrazione. Gli ultimi dati disponibili e presentati lo scorso maggio sono molto chiari: un problema c’è ed è anche più grande di quanto si creda.

L’età media degli impiegati pubblici stabili è di 50,7 anni e non è diminuita dal 2020. Nel 2001 l’età media era di poco più di 44 anni. Gli impiegati pubblici con meno di trent’anni (i “giovani”) sono il 3,6%. Ma approfondendo scopriamo dati peggiori: nei Ministeri solo lo 0,7% delle persone hanno meno di trent’anni a fronte di un ottimo 29,3% che è sopra i 60 anni. Nella scuola i giovani sono addirittura lo 0,3%, contro il 22,8% di persone sopra i 60 anni.

Questa è la prima parte del problema. Che, si potrebbe pensare, è imputabile all’essere un Paese anziano a prescindere, dove la natalità è in netta diminuzione e dove l’età della pensione si sposta sempre più in là. Si ha però uno scarto di circa sei anni di età tra chi lavora nel pubblico e chi lavora nel privato: un divario amplissimo che spiega come il problema sia molto più forte nel settore pubblico.

Si potrebbe anche pensare che i dati siano una fotografia attuale di un problema iniziato tempo fa e che ora il trend si invertirà in maniera naturale. E che anzi, trovando sempre più precariato e difficoltà a entrare nel privato, molti giovani si lanceranno in una carriera nel settore pubblico. Si potrebbe pensare, ma non è così: l’età media di entrata nella PA è passata in vent’anni da 29,3 a 34,3 anni. E sono sempre più frequenti i concorsi che rimangono vuoti o che vengono vinti da candidati che poi rinunciano al posto.

Quindi, per farla breve, non solo ci sono pochi giovani che lavorano nel settore pubblico, ma sono pochi anche i giovani che nella PA provano ad entrarci. Gli effetti sono chiari: dal rischio che molte funzioni statali non siano più effettuate, a una crescente perdita di efficienza del sistema amministrativo, con, appunto, una modernizzazione che rischia di farsi sempre più difficile.

Davanti a questi dati il Ministero si è giustamente allarmato e ha pensato di fare una campagna di comunicazione per attrarre i giovani. Come quando il Ministero del Turismo ha scelto di fare una campagna di comunicazione per promuovere all’estero l’Italia come meta turistica. Così è nata la Venere influencer, e così è nato lo slogan “Più che un posto fisso, un posto figo!”. Problemi diversi, stesso risultato.

La campagna nasce, come riportato sul sito del Ministero per la Pubblica Amministrazione, con l’obiettivo di “scardinare i vecchi stereotipi, raccontare come sta cambiando la PA e scoprire le opportunità del pubblico impiego”. La campagna prevede spot in radio e in tv, mentre, citando sempre il sito del Ministero, “per il target ‘giovani e professionisti’ sono stati predisposti materiali social ad hoc con contenuti dinamici per reel e stories”.

Il Ministro Zangrillo ha accompagnato il lancio della campagna con queste parole: “Questa campagna di comunicazione ci aiuterà a presentare ai nostri giovani la Pubblica amministrazione che vogliamo.”. Il sottosegretario all’editoria Barachini ha invece detto che “lavoriamo a un linguaggio coerente, contemporaneo e coinvolgente e con l’obiettivo di creare la massima interazione”.

Fin qui tutto bene: individuato il problema, pensata la soluzione. Ecco, è l’esecuzione della soluzione che lascia un po’ a desiderare, o perlomeno è discutibile.
Per parlare ai giovani, presentare loro la PA “che vogliamo” e avvicinarli a un settore lontano da loro è stato prodotto un video che rappresenta alcuni ruoli tipici della PA, lontani da ogni genere di luogo comune e di stereotipo.

C’è l’autista dello scuolabus che non può non essere “puntualissimo” e che ovviamente sorride a bambini che non vedono l’ora di andare a scuola. Molto vicino alle scene apocalittiche che si vedono davanti a ogni scuola italiana alle 8 di mattina, tra genitori che lanciano i figli dalle auto in corsa, bambini con scarpe diverse perché vestiti di fretta e autisti che alla seconda corsa già non ne possono più di auto parcheggiate in quarta fila perché non sia mai che mio figlio faccia due passi in più per andare a scuola.

C’è l’assistente sociale sempre in giro, ovviamente a braccetto a un signore anziano, ovviamente con camicia a quadri e cappello in testa. Probabilmente c’era anche una Panda del 1982 parcheggiata là dietro.

C’è la social media manager che alza i pollici e sorride perché “il progetto è pronto”. Non credo di aver mai visto un social media manager sorridere, ma chi ha mai visto due pollici alzati con tale gioia?

Questa probabilmente doveva essere la parte in cui “si scardinano i vecchi stereotipi”.
E poi il testimonial famoso. Il volto noto, quello che tutti i giovani conoscono, quello autorevole sulla Generazione Z, quello che chiude lo spot e che invoglia ogni adolescente a candidarsi al primo concorso disponibile: Orietta Berti. Che invidio per tantissime cose ma di certo non è il primo nome che può venire in mente a un diciottenne oggi. Forse invece questa era la parte del “linguaggio contemporaneo”.

Ecco non è una campagna riuscitissima: ma, ironie a parte, non tanto nella produzione, ma nelle fondamenta. Il presupposto di base è infatti che tutti i giovani non cercano più un posto fisso: ma chi l’ha detto? Anzi, se c’è una cosa che i giovani cercano oggi nel mondo del lavoro è proprio la stabilità: sapere per cosa si lavora, quale percorso di crescita sarà fatto, quali investimenti sulla loro professionalità, che tipo di opportunità potranno avere, quale formazione viene loro garantita, quali valori possono trovare e quanta diversità, che tipo di remunerazione economica ma non solo può essere data e quale la flessibilità che viene loro garantita. La stabilità che permette loro di crescere, di uscire dalla casa dei genitori, di diventare indipendenti e di determinare il proprio futuro. Siamo certi che sono cose che la PA può dare ai giovani?