Giustizia, Lamberto Dini: “La riforma Nordio va sostenuta. Il centro è il futuro dell’Italia. Meloni l’ha capito, Schlein no”

LAMBERTO DINI ECONOMISTA

L’ex presidente del Consiglio, già ministro del Tesoro e Direttore generale della Banca d’Italia, Lamberto Dini, ai nostri microfoni ha difeso la riforma della giustizia sottolineando, inoltre, l’importanza di una finanza pubblica stabile e di una bussola centrista e pragmatica per risolvere i problemi dei cittadini.

Presidente Dini, come la giudica la Riforma Nordio?
«Guardi, credo che una riforma della giustizia fosse necessaria da tempo. Troppo spesso, negli ultimi anni, la magistratura è entrata nel campo della politica. La separazione delle carriere e l’introduzione del sorteggio servono, infatti, a ripristinare l’equilibrio dei poteri senza ledere l’indipendenza della magistratura. Chi teme che serva a sottomettere i pubblici ministeri al potere politico sbaglia. Basti guardare agli esempi dei principali paesi europei che la hanno adottata».

Come voterà?
«Io voterò nettamente a favore della riforma. Già nel 1995, quando ero Presidente del Consiglio, avevo, infatti, proposto la separazione delle carriere e la riforma del CSM al presidente della Repubblica Scalfaro. Anche se lui ritenne tale tema troppo complesso per un esecutivo di transizione come il mio e si decise di rimanere nei binari del programma di governo. Ma già all’epoca sì trattava di un tema urgente, oggi lo è più che mai».

Si tratta, come dice l’opposizione, di una campagna contro il potere giudiziario?
«No, tutt’altro, è un referendum contro la correntocrazia e contro il corporativismo nella magistratura. Nessuno vuole colpire i giudici: anzi con la riforma se ne difende l’indipendenza dal potere delle correnti. Un magistrato, infatti, deve applicare la legge, non sottostare a linee associative o corporative…».

Molte sono però le critiche.
«Certamente non è una riforma che risolve tutti i problemi della giustizia, ma va nella direzione corretta. Non a caso l’ex presidente della Consulta Barbera o giudici come Di Pietro la hanno sostenuta. Chi la osteggia, soprattutto a sinistra, lo fa più per indebolire il governo che per difendere lo stato di diritto».

Passiamo all’economia. Lei ha definito la manovra del governo “positiva”. Che voto le darebbe?
«Un voto certamente superiore a sette. Nonostante le ristrettezze e le tensioni nella maggioranza, il governo ha mantenuto i conti in ordine. È una condizione indispensabile per essere credibili sui mercati e nello scenario internazionale. La stabilità della nostra finanza pubblica è un obiettivo essenziale e il governo la sta perseguendo nel migliore dei modi. Oggi l’Italia è tornata a contare grazie alla sua affidabilità. Questo ha infatti prodotto un aumento degli investimenti stranieri, che vuol dire occupazione. Poi, certo, restano limiti redistributivi e scelte discutibili, ma la rotta è giusta».

E sulla battaglia di Salvini sulla rottamazione delle cartelle?
«Sono misure populiste, che non aumentano il gettito, ma anzi lo frenano. Lo ha detto anche la Banca d’Italia. Eppure si insiste, per motivi elettorali. Mentre invece la battaglia contro l’evasione fiscale è fondamentale».

Molti nella sinistra hanno rilanciato l’idea di una patrimoniale. Lei come la giudica?
«Mi sembra un errore di metodo. Vorrei essere chiaro: non sono contrario ad una patrimoniale in via di principio, ma nell’ottica in cui essa è proposta ora dall’opposizione. Non si può, infatti, utilizzare una misura straordinaria e annuale per risolvere un problema redistributivo nel lungo periodo… Colpire solo le grandi fortune, inoltre, crea un gettito limitato. Mentre per raggiungere lo scopo prefissato si dovrebbe estendere anche ad altre fasce sociali. Ma così facendo colpirebbe proprio quei ceti che doveva sostenere».

Secondo lei questa manovra favorisce i ricchi?
«No è falso l’esecutivo ha ridotto l’aliquota per i redditi medio-bassi e ha ampliato la fascia di sgravio. La stessa impostazione sugli affitti brevi, ad esempio, mira a promuovere più giustizia fiscale. Tutto il contrario delle logiche trumpiane a vantaggio solo dei privilegiati».

Che ne pensa del nodo dei bassi salari?
«Si tratta di un problema strutturale. Serve puntare sull’innovazione e sull’aumento della produttività. Senza investire sulla crescita si ha solo una redistribuzione priva di prospettiva».

Oggi, invece, dove vede il cuore del consenso nel Paese?
«Le elezioni si vincono al centro, non agli estremi. È una legge ferrea. E Meloni, pur non essendo liberale, lo ha capito: la sua strategia punta al centro, parla ai moderati, non agli estremisti. Così si costruisce la stabilità. Guardando con pragmatismo ai problemi dei cittadini e delle imprese».

E l’opposizione?
«La sinistra, invece, sembra smarrita. Non ha un programma, non ha una visione. Critica ogni decisione del governo, ma non propone un’alternativa credibile. La segretaria del PD, inoltre, si muove spesso più a sinistra dei 5 Stelle, e questo allontana il ceto medio. Conte, paradossalmente, è oggi più moderato di Schlein: contrario alla patrimoniale, più prudente nei toni».

E Landini?
«Rappresenta un’Italia della protesta, non del governo. Seguendolo la sinistra non andrà lontano…».