Nel “Si&No” del Riformista spazio al dibattito sulla decisione del governo di esercitare il Golden Power su Pirelli. Giusto o sbagliato. Favorevole l’economista Riccardo Puglisi secondo cui “la geopolitica industriale ha bisogno dei poteri speciali dello Stato“. Contraria l’imprenditrice Lucia Zavattini che sottolinea come si tratti di “un atto autoritario che mette in difficoltà l’Italia sul mercato globale”
Qui il commento di Riccardo Puglisi:
Ritengo che il governo Meloni abbia fatto bene ad esercitare il cosiddetto Golden Power nel caso di Pirelli, al fine di proteggere interessi strategici della nazione che potevano ricevere una lesione a motivo di patti parasociali più favorevoli all’azionista Sinochem, che è una società pubblica controllata dal governo cinese.
Si badi peraltro che la possibilità per il governo di inserire vincoli speciali in caso di azienda impegnata su tecnologie o/o settori strategici è stata introdotta dalla legge 56 del 2012, quando il presidente del consiglio era Mario Monti, che difficilmente potrebbe essere inquadrabile come (reciprocamente) agognato nume tutelare del governo attuale.
Eppure l’interesse strategico del paese – in questo caso collegato alla tecnologia dei sensori cyber impiantabili nei pneumatici, i quali possono fornire informazioni sulle caratteristiche del veicolo e della infrastruttura viaria dove il veicolo passa- è un tema non necessariamente di carattere partigiano, ma potrebbe anzi funzionare come terreno comune per una convergenza di vedute e scelte che prescindono dal colore politico di chi governa il paese.
Sotto il profilo istituzionale ed economico, è perfettamente sensato che i cittadini italiani – attraverso i meccanismi della democrazia rappresentativa – utilizzino i poteri coercitivi tipici dell’intervento pubblico per fissare limiti all’azione delle imprese, in questo caso per tutelare innovazioni tecnologiche che hanno risvolti geopolitici. Ovviamente da economista (anzi: da microeconomista applicato) sono ben conscio del fatto che ogni esercizio di questi poteri coercitivi nella forma del Golden Power possa ex ante rendere meno appetibile da parte delle imprese straniere, e in particolare da parte delle imprese controllate dai governi di paesi stranieri, la scelta di effettuare ulteriori investimenti in società italiane.
Tuttavia, tali effetti negativi sulla propensione ex ante ad investire nelle imprese italiane devono essere soppesati non soltanto rispetto alle tutele ottenute nel caso specifico di Pirelli, ma anche rispetto ai benefici di trasparenza che consistono nel non nascondere al governo cinese – e a qualsiasi altro governo – la visione del governo italiano su quali tecnologie siano ritenute strategiche e degne di tutela rafforzata, all’interno di un quadro di reciprocità. Con il termine democristiano di reciprocità intendo ovviamente la costruzione di uno schema anche collaborativo tra governi in cui l’eventuale negoziazione ed eventuali passaggi futuri partano dalla comprensione di quali siano i limiti che gli stati sovrani intendono mantenere.
Bisogna poi sottolineare come – nelle interazioni amichevoli tra Cina e Italia – è piuttosto inverosimile immaginarsi un atteggiamento da parte dei futuri governi italiani che sia paragonabile all’eccesso di condiscendenza mostrato dal governo Conte 2, ed avallato dalle parti di chi come Massimo D’Alema sembra talora mostrare maggiore simpatia per la Cina che per gli USA. Sotto questo profilo il governo Meloni – con buona dose di continuità rispetto all’azione del governo Draghi – manda un segnale non trascurabile di un cambio schietto ma amichevole di direzione. Ritengo che gli interlocutori stranieri non possano che apprezzare con lungimiranza la definizione chiara di ciò che uno stato sovrano ammetta o non ammetta, soprattutto quando questi stessi interlocutori hanno ben presente la definizione concreta del proprio interesse nazionale e della propria sfera di influenza esterna.
