Nel Sì&No del giorno, spazio al dibattito sull’opportunità, o meno, di intitolare una strada a Giorgio Almirante, storico leader MSI, a Grosseto. Abbiamo chiesto un parere al giornalista Mario Lavia, che è contrario, e all’esponente di FI Giovani, Ludovico Seppilli, che è favorevole.
Qui di seguito, l’opinione di Mario Lavia.
Questa specie di manuale Cencelli toponomastico che è stato applicato a Grosseto non si sa se faccia più ridere o piangere. Incrociare via Enrico Berlinguer a via Giorgio Almirante, biforcazioni di via della Pacificazione nazionale – un concetto ambiguo – è un trucco per veicolare l’idea che alla fine sono tutti uguali, Berlinguer e Almirante, e così, per estensione, Umberto Terracini e Pino Rauti, chi ha voluto la Costituzione e chi ne era fuori, chi ha sostenuto la Resistenza e chi ha fatto fucilare i resistenti. “Rossa o nera è sempre dittatura”, vecchio adagio da bar all’angolo. La dittatura di Berlinguer?
Ma già sento le obiezioni: basta, sono passati tanti anni, ancora con l’antifascismo, e Stalin, allora, e Pol Pot? Non è questa la sede per tornare sulla specificità (che non lenisce le responsabilità) del Pci rispetto al “comunismo”. Gli italiani infatti sanno bene chi sia stato Enrico Berlinguer, un grande leader democratico, ed è penoso che il suo nome venga messo lì a far da contrappeso a quello di Almirante, lo storico capo dei neofascisti italiani, in questa ridicola spartizione di strade avallata dalla prefetta di Grosseto, dottoressa Paola Berardino, moglie del raffinatissimo ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Qualche tempo fa Antonio Padellaro scrisse un libello per dirci che talvolta Berlinguer e Almirante se erano incontrati a Montecitorio e uno pensa, vedi che si erano già “pacificati” tra di loro. In trent’anni di vita parlamentare comune si saranno visti tre volte: sai che scoop.
È vero che si ricordano i reciproci omaggi. Qui metto una testimonianza personale: quando Almirante arrivò alle Botteghe Oscure dov’era la bara del segretario del Pci, mi pare fosse il 12 giugno 1984, ero su quel marciapiede e rimasi come tutti quelli che erano lì molto sorpreso a vedere il leader dei neofascisti davanti alla sede comunista: era il gesto di un “capo” che omaggia il “capo” avversario che considerava “una persona perbene” (queste le sue testuali parole). Pajetta e la Iotti lo portarono dentro la sede, dov’era la camera ardente. Si trattò di un bell’omaggio personale, nulla di più e nulla di meno.
Ma la “pacificazione” non c’entrava niente. La cosiddetta “pacificazione” si attua se i protagonisti fanno una seria revisione: i comunisti italiani la fecero, il partito di Almirante tutt’altro. La guerra civile si era chiusa il 25 aprile 1945 con la disfatta degli alleati di Hitler. Dopo, in piena democrazia, qualcuno voleva tornare indietro, non so se Almirante personalmente ma certo il suo partito o pezzi del suo partito, il Movimento sociale, e di questo ci sono prove a bizzeffe. Ancora oggi i suoi eredi storici quando parlano di uno che non sia di destra lo definiscono “comunista”.
Perché ancora oggi certe cose sono rimaste dentro, incancellabili come certi sogni. E quelle cose è stato soprattutto Giorgio Almirante a tenerle vive fino a che è stato vivo, a trasmigrarle dal mondo di ieri all’oggi della democrazia, fu lui che ad alimentare il mito neofascista nelle generazioni più giovani e ad assecondare la voglia di rivincita dei più vecchi, lui che non si era rassegnato né il 25 luglio ‘43 né il 25 aprile ‘45. Fosse ancora tra noi c’è da star sicuri che quelle cose, certi miti fascisti, Almirante li coltiverebbe ancora. Fu un fascista non pentito, questo è il punto – e lasciamo qui stare (ci vorrebbe un volume intero e non smilzo) tutti gli aspetti oscuri di trame, omertà, complicità negli anni della strategia della tensione, lasciamo stare le vicende penali, lasciamo persino stare la responsabilità del Movimento sociale di cui era il capo delle violenze di strada di quegli anni, peraltro in un contesto di “guerra” con l’estremismo rosso: non fu mai un democratico, nel senso di antifascista giacché i due termini sono inscindibili (quello che ancora non capisce Giorgia Meloni, per non dire del presidente del Senato), Giorgio Almirante.
Un signore nei modi, certo, ma un cattivissimo maestro. Ecco la semplice ragione per la quale non gli si dovrebbero dedicare strade. Tantomeno se incrociano via Enrico Berlinguer.
