Gli anziani non sono scarti, le case di riposo vanno ripensate

Dobbiamo tener conto, inoltre, che il tasso di invecchiamento in Italia è il più alto d’Europa e che siamo il secondo paese più anziano al mondo. Le famiglie vanno sostenute, come ho appena detto, in maniera più attenta e lungimirante. Senza dimenticare peraltro che il 33% delle famiglie è monocomponente, che oltre il 50% è composto da due persone o meno. Solo il 5% ha 5 o più componenti. Di qui una riflessione altrettanto urgente.  Mi chiedo se l’indebolimento e la polverizzazione tessuto sociale non abbia favorito la proliferazione degli istituti, delle “villette”, delle residenze sanitarie o meno verso cui avviare chi era rimasto solo o chi non aveva una rete familiare ed amicale che lo sostenesse e gli permettesse di rimanere a casa. Ma la crisi svela come concentrare solitudini e fragilità non sia poi così positivo, utile e salubre, anzi. Volendo pensare al domani già da oggi, credo sia necessario valorizzare l’assistenza domiciliare e le convivenze tra anziani, il co-housing e le esperienze di piccole case-famiglia, i centri diurni e le reti familiari e solidali da allargare. Nell’impostazione della vita quotidiana prima del virus era scontato portare i nostri anziani in una casa di riposo. Oggi non possiamo più darlo per scontato. Al contrario dobbiamo ripensare un futuro nuovo per la nostra società anche a partire da un nuovo modo di prendersi cura degli anziani. Papa Francesco ha spesso parlato, anche a proposito di anziani, di una triste «cultura dello scarto». Chi ha speso la vita per farci nascere, darci un’educazione e condurci verso l’esistenza merita di essere accudito nella propria casa o in un ambiente familiare e pieno di cure e attenzioni, nel tempo della vecchiaia. La crisi di questi giorni getta una luce per una nuova scelta. È tempo di cambiare, facendolo sul serio: la pletora dei decaloghi per il futuro, di ricette facili, di nuove organizzazioni da porre in campo, deve lasciare il posto a una riflessione profonda sul modello sociale e umano che intendiamo perseguire. Dobbiamo ripartire dai legami e dalla solidarietà: paradossalmente ma forse non troppo, in questi giorni abbiamo visto crescere una domanda di impegno e di voglia di aiutare, che ha visto fiorire iniziative di ogni genere. Nelle corde più profonde della nostra società si assiste ad un risveglio, a una voglia di incontro, forse a una nuova consapevolezza: quel che abbiamo scartato, confinandolo negli istituti, il debole ed il fragile che abbiamo periferizzato, è forse il nuovo centro attorno a cui far ripartire reti familiari ed amicali. Il nostro modello sociale va ripensato. E l’era del coronavirus ci fornisce un’opportunità unica. Cogliamola, per rendere più umana tutta la società, senza ipocrisia, senza infingimenti. Il dopo-coronavirus comincia già ora, anche dalla cura degli anziani, tenendoli vicini a noi.