Gli europeisti (allineati con Orbán) attaccano von der Leyen, chi votò sì al bis adesso si sgola contro il negoziato sui dazi

La Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen durante la riunione dei Capi di Stato e di Governo dei Paesi G7 a Borgo Egnazia, Giovedì, 13 Giugno 2024 (Foto Roberto Monaldo / LaPresse) Prime Minister Giorgia Meloni and the President of the European Commission Ursula von der Leyen during the meeting of the Heads of State and Government of the G7 countries in Borgo Egnazia, Thursday, 13 June 2024 (Photo by Roberto Monaldo / LaPresse)

Non è bello, non è buono, ma “poteva andare peggio”. È il frutto spuntato ieri sulle colline scozzesi: i dazi al 15% e la stretta di mano tra il “lupo” e “Cappuccetto rosso”. Un’intesa che a Bruxelles crea un ribaltone, il primo tangibile effetto collaterale. Chi, esattamente un anno fa, confermò il secondo mandato di Ursula von der Leyen (il Pd e in generale il gruppo S&D) strepita e lo definisce una Caporetto. Sul banco degli imputati finisce naturalmente anche Giorgia Meloni (nonostante la competenza esclusiva dell’Ue), chiamata in causa per la sua relazione speciale con Donald Trump. Chi invece non votò (è il caso di Fratelli d’Italia) il bis per la presidente tedesca, giudica l’accordo “positivamente”, avvicinandosi sensibilmente ai popolari.

Viste le condizioni di partenza, uno scampato pericolo. In pratica, lo sconquasso provocato dall’inquilino della Casa Bianca si riflette automaticamente sugli equilibri europei. Una divisione che si ripercuote sugli Stati nazionali. La Germania va in scia con l’Italia: “Evitata un’inutile escalation nelle relazioni commerciali transatlantiche”. Il cancelliere Friedrich Merz afferma: “L’unità dell’Ue e il duro lavoro dei negoziatori hanno dato i loro frutti”. La Francia sceglie il muso duro. A parlare è il primo ministro François Bayrou: “È un giorno buio quando un’alleanza di popoli liberi, uniti per affermare i propri valori e difendere i propri interessi, decide di sottomettersi”. Ironia della sorte, in quasi tandem con Viktor Orbán: “Donald Trump non ha raggiunto un accordo con Ursula von der Leyen, ma piuttosto si è mangiato la presidente della Commissione europea per colazione”.

L’inquilina di Palazzo Chigi, almeno, è riuscita a portare dalla sua parte Matteo Salvini (la Lega è nel gruppo europeo dei Patrioti insieme al premier ungherese). Esce infatti una nota del governo (a firma Meloni, Tajani e Salvini): “Accogliamo positivamente la notizia del raggiungimento di un accordo tra Unione europea e Stati Uniti sui dazi e le politiche commerciali”. Il concetto è lo stesso usato dall’esecutivo tedesco: “È scongiurato il rischio di una guerra commerciale in seno all’Occidente, che avrebbe avuto conseguenze imprevedibili”.

In Italia la prima a salire sulle barricate è la segretaria del Pd, che aveva già cominciato la marcia di avvicinamento al disimpegno nel Parlamento europeo sul dossier riarmo. Davanti ai microfoni, si lascia andare: “Ha i tratti di una resa alle imposizioni americane”. Poi il dettaglio: “Il governo italiano insieme ad altri governi nazionalisti totalmente subalterni a Trump, hanno spinto per una linea morbida e accondiscendente che ha minato l’unità europea e indebolito la posizione negoziale dell’Ue”. Con una contraddizione: in queste settimane è stata proprio la sinistra a chiedere alla leader di Fratelli d’Italia di assecondare la linea negoziale di Bruxelles.

Elly Schlein stavolta va a braccetto con Giuseppe Conte. Il leader del M5S spiega: “Come in ogni duello c’è un vincitore – il presidente americano Trump – e uno sconfitto, anzi due: l’Unione europea e Giorgia Meloni”. L’ex presidente del Consiglio può vantare almeno la coerenza: i pentastellati e il loro gruppo di appartenenza, The Left, sono dall’inizio del mandato tra i più feroci oppositori di von der Leyen. A differenza del Pd, che nella scorsa legislatura “rivendeva” il modello Ursula. Il “maledetto” accordo ottiene il miracolo di allineare le posizioni di Azione e Italia Viva. Per Carlo Calenda, “la presidente è stata trattata come una pezza da piedi, questa roba qua non può succedere, per cui va mandata a casa”. Ragionamento condiviso da Matteo Renzi: “Mai vista una leadership così insulsa e dannosa come quella di Ursula von der Leyen”.

Un po’ di realismo torna con l’analisi del segretario del Partito Liberaldemocratico, Luigi Marattin: “L’accordo raggiunto in Scozia è pessimo, probabilmente però il migliore possibile. Attendiamo di sapere cosa succederà ai nostri due settori più importanti, farmaceutico e agroalimentare, su cui non si sa ancora nulla”. Un concetto tradotto dal presidente dello stesso partito, Andrea Marcucci: “L’intesa raggiunta è nel segno del meno peggio”. Una proposta di buonsenso la tira fuori il leader di Forza Italia, Antonio Tajani: “La cosa principale da fare è l’intervento della Bce, perché ridurre la forza dell’euro significa fare molto di più rispetto a qualsiasi iniziativa a sostegno delle imprese, per quanto riguarda i dazi”. Insomma, che gran confusione a Bruxelles: europeisti e anti-europeisti si scambiano la maglietta.