Grazie Gigi Buffon, italiano vero che ha parato anche la depressione

“Mi hai dato tutto. Ti ho dato tutto. Abbiamo vinto insieme”. Gianluigi Buffon detto Gigi dice addio al calcio. Uno dei più grandi calciatori di tutti i tempi, per usare la definizione di Giovanni Malagò, Presidente del Coni, dice addio e se ne va.

Lo fa con post su Instagram rivolto ai suoi 10 milioni e settecentomila followers, a corredo di un bellissimo video che sulle note dei Coldplay ripercorre alcune sue gesta con le maglie di Parma, Juventus e soprattutto Italia, narrate da telecronisti di diverse generazioni, che conferma quanto di lui, bandiera della Nazionale italiana, portierone campione del Mondo nel 2006, sappiamo tutti.

E cioè che Gigi Buffon è un ragazzo che è diventato uomo: serio, generoso, attaccato ai suoi amici dell’adolescenza che ancora oggi frequenta tra Parma e Carrara, disponibile verso chi lo ama o lo avvicina. Un italiano vero, nel senso migliore del termine.

Davvero un bel personaggio lui, sempre molto espansivo e pieno di buon senso, come d’altronde sottolineano in queste ore tutti i suoi compagni di squadra che ci hanno convissuto in 28 anni di carriera stellare, iniziati e finiti a Parma, ma consumati prevalentemente a Torino, sponda Juventus di cui è stato bandiera anche nell’anno in cui face un’esperienza al Paris Saint Germain.

Una cavalcata che ha conosciuto successi incredibili (il Mondiale, appunto e una scorpacciata di scudetti e coppe che è inutile richiamare, tanto la conoscono tutti) e un grandissimo rimpianto: la Champions League mai afferrata e tante volte sfiorata, nei teatri di Manchester (contro il Milan, forse la delusione più grande), Berlino contro il Barcellona, e Cardiff contro il Real Madrid.

Ma Buffon è uno di quei rari casi (dovrebbero essere di più, in effetti, se fossimo davvero una nazione sana) in cui a un divo viene per fortuna perdonato il successo. Per la sua modestia, umiltà evidente e simpatia, ma forse anche perché fama, amore degli italiani anche non juventini, stima di colleghi e inevitabile, meritatissima ricchezza non gli hanno risparmiato l’incontro, da lui stesso candidamente confessato con un avversario terribile: la depressione.

Da cui è uscito e oltre cui è andato anche allargando i suoi interessi. Perché’ Buffon in campo è stato un super professionista, un campionissimo, ma fuori un uomo pieno di curiosità e interesse per l’attualità e il fare le cose. Da qui nascono iniziative come quella del tentativo di salvare l’azienda tessile della Zucchi, e il varo de La Romanina, bagno di successo che gestisce a Cinquale, in zona Versilia. Per questo c’è da scommettere che Buffon, una volta smesso di giocare e dispensare quei guizzi isterici per quanto fulminei erano, che ci hanno fatto esultare tutti e reso per alcune notti magiche davvero una nazione di fratelli, farà altro, e quindi lo rivedremo.

Umile, per bene, disponibile, sensibile alla simpatia della gente, ammiratore del talento altrui che lo spingeva fino alla sportività di applaudire anche prodezze consumate contro di lui, è rimasto impressionato da pochi avversari: Ronaldo il Fenomeno, Zinedine Zidane suo compagno alla Juve per cinque anni, e più recentemente Leo Messi. Gli altri li ha sempre rispettati, e da loro è sempre stato considerato un monumento. Coerente in pubblico quanto nel privato, ha dovuto affrontare una separazione dalla prima moglie, e poi un’unione con una donna celebre che proprio di calcio si occupava. Malgrado ciò, ha sempre tenuto un profilo discreto, poco alla ricerca di visibilità gossippara, di cui al massimo è stato vittima, mai carnefice.

Come discreto è stato il suo post di addio (“Mi hai dato tutto. Ti ho dato tutto. Abbiamo vinto insieme”) che si rivolge al calcio. Ma è lo stesso significato che motivò la sua scelta ammirevole, da fresco campione del mondo nel 2006, di seguire la Juventus in serie B.

Lo avrebbe ingaggiato a suon di miliardi qualunque top club d’Europa, ma lui decise di ricambiare quanto ricevuto fino a quel momento dalla Juventus, e cosi dallo stadio di Berlino dove miliardi di persone nel mondo lo avevano visto, con l’Italia, battere la Francia in finale si ritrovò osannato a Rimini, per l’esordio con la Juventus retrocessa.

Oggi, se è vero che la Federcalcio gli ha offerto di diventare il successore di Gianluca Vialli, e prima ancora di Gigi Riva, nel ruolo di team manager della nazionale, la sua storia d’amore con una nazione che ama la propria nazionale e lui che l’ha difesa, volta pagina e prosegue.

È anche questo uno dei motivi per cui è stato un calciatore applauditissimo da noi italiani: ne abbiamo percepito il talento, l’esuberanza tipica dei portieri, la crescita da ragazzo scapigliato a uomo impegnato, e osservato anche insuccessi, sofferenze, delusioni, che non ha mai nascosto, anzi ha condiviso con tutti noi, consentendoci riflessioni che moltissimi altri grandi atleti non autorizzano minimamente.

È la differenza tra essere protagonisti e comparse, leader anziché follower. E lui si capì subito, dal suo esordio, da quale parte sarebbe finito. Grazie mille Gianluigi e buona vita. Sono sicuro che ti rivedremo.