Tra divisioni e pacifismo di facciata
Guerra in Ucraina, l’unica certezza è che sul conflitto sembrano più vicine le posizioni dei negoziatori che quelle interne alle coalizioni italiane
Maggioranza e opposizione seguono col fiato sospeso il vertice di Washington. C’è chi fa il tifo per l’Italia e per l’Europa, chi fa il tifo solo per Kyiv, chi solo per Mosca. Sul tavolo, il conflitto ucraino e i fragili equilibri. Non solo globali, ma delle coalizioni italiane. «Tutto dipende da Mosca. C’è ancora molto da fare per raggiungere un accordo di pace», avverte il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ricorda come «i continui bombardamenti russi contro obiettivi civili ucraini non siano un segnale di disponibilità concreta». La Farnesina ribadisce la necessità di un’Europa unita e ancorata al legame transatlantico. «Nessun accordo si potrà raggiungere senza Kyiv», aggiunge Tajani, proponendo un meccanismo di garanzie di sicurezza «fotocopia dell’articolo 5 della Nato».
Matteo Salvini – troppo a lungo sbilanciatosi per Mosca – ieri citava Papa Leone XIV: «Occorre portare nel mondo il fuoco dell’amore, non delle armi». Sul fronte opposto, Lorenzo Guerini, presidente Pd del Copasir, ricorda che «questa guerra è iniziata per un’aggressione ingiustificata da parte della Russia» e insiste sul principio che i confini non si cambiano con la forza. «Gli ucraini devono avere il diritto di decidere del loro futuro», scandisce, aggiungendo che «la suggestione di Meloni di fare da ponte tra l’Europa e gli Usa è crollata». A rincarare la dose arriva Giuseppe Conte: secondo il leader del M5S, l’Europa del riarmo «non ha costruito canali di pace quando Kyiv era più forte» e ora resta «un comprimario che deve lavorare duramente per impostare una pace giusta e ragionevole». Per Conte è «imbarazzante leggere l’esultanza di Meloni per spiragli di pace dopo anni di politica guerrafondaia e ostile a negoziati». Fratelli d’Italia invece serra le fila e saluta il ruolo centrale di Meloni. Per Edmondo Cirielli, «Meloni non ha mai pensato di sganciarsi dall’Europa. Ha sempre avuto un atteggiamento da mediatrice. Ricordo che sui dazi c’era chi voleva minacciare gli Usa con contro-tariffe. Idea balzana. Noi abbiamo sempre cercato di mettere l’alleanza al primo posto e questo paga». E aggiunge: «Va sostenuto il supporto militare ed economico a Kyiv fino alla fine». Manuela Repetti rilancia: Meloni è «indispensabile e utile più di tutti gli altri partecipanti europei», stimata tanto da Trump quanto da Zelensky.
Resta però la frattura aperta dal vertice di Anchorage tra Trump e Putin. Benedetto Della Vedova (+Europa) denuncia «l’immagine di un Putin vincitore e di un Trump remissivo», con il leader russo che ha rivendicato «spudoratamente la sua guerra criminale». Durissimo Carlo Calenda, secondo cui le «scene di sottomissione adorante di Trump a Putin non hanno precedenti nella storia delle relazioni internazionali Usa». E Matteo Renzi avverte: «Putin non vola in Alaska per firmare una tregua. Nella sua visione c’è l’obiettivo di una nuova Yalta. Pensa a un ordine mondiale per i prossimi vent’anni».
Il quadro che emerge è quello di un’Europa divisa e di un’Italia costretta a muoversi tra equilibri fragili. Da un lato Salvini che invoca pace e richiama il Papa; dall’altro Guerini che ribadisce la necessità di armi e Conte che accusa Meloni di ipocrisia, mentre la premier cerca legittimazione a Washington con il sostegno del suo partito. Sullo sfondo, un Trump che apre a Putin, un Renzi che intravede nuove Yalta e un’Europa che rischia l’irrilevanza. L’unica certezza, almeno per ora, è che sul conflitto ucraino sembrano più vicine le posizioni dei negoziatori che quelle interne alle coalizioni italiane. Sull’Ucraina, dall’inizio del conflitto, le uniche idee perfettamente collimanti sono quelle della Lega e dei Cinque Stelle.
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