Per l’Ucraina è stata un’altra notte segnata da missili e droni. Tra domenica e lunedì, più di 400 ordigni russi hanno solcato i cieli del Paese mietendo due vittime e facendo 15 feriti. Il presidente Volodymyr Zelensky ha confermato danni nella Capitale, Kiev, dove è stato colpito anche un asilo nido. Ma gli effetti dell’attacco sono stati ben visibili anche nelle zone limitrofe, così come nelle regioni di Kharkiv e di Ivano-Frankivsk, con droni abbattuti in altre province ucraine.
A Kiev si torna nei rifugi
Per il governo di Kiev non è certo una novità. Ogni notte la Russia scatena sul Paese centinaia di droni e qualche decina di missili, colpendo infrastrutture civili e militari indistintamente. Nella Capitale, molte persone hanno cominciato di nuovo a passare diverse ore nei rifugi, nelle cantine e addirittura nelle stazioni della metropolitana. Ed è anche per questo che Zelensky sta facendo di tutto, da mesi, per convincere gli Stati Uniti e gli alleati europei a fornire all’Ucraina i sistemi necessari per abbattere le minacce e mettere al sicuro la popolazione. Un’esigenza che però si è scontrata con due ostacoli. Il primo è la difficoltà dell’industria bellica europea a far fronte alla crescente domanda non solo dell’Ucraina ma anche degli altri governi del vecchio continente, che hanno compreso la necessità di ampliare i propri arsenali. Il secondo, invece, è rappresentato dal desiderio del presidente Usa, Donald Trump, di non fornire aiuti militari se questi non vengono pagati. Al momento, la soluzione trovata dalla Casa Bianca è quella di spostare sugli alleati della Nato il costo della protezione di Kiev. In primis sulla Germania che, insieme ad altri Paesi, ha scelto di acquistare sistemi americani per poi consegnarli alle forze ucraine. Ieri il ministro della Difesa tedesco, Boris Pistorius, durante la riunione del Gruppo di Contatto per l’Ucraina ha detto che Berlino avrebbe fornito immediatamente due sistemi Patriot e che Kiev ha bisogno con urgenza di altre cinque batterie dello stesso tipo. E secondo il Wall Street Journal, Washington avrebbe già dato il via libera alla propria industria per sostituire i Patriot inviati all’Ucraina dagli alleati europei. Come spiegato dal quotidiano statunitense, Germania, Norvegia, Danimarca, Paesi Bassi, Canada, Regno Unito, Svezia e Finlandia si sono già impegnate a sostenere questa iniziativa. Altri, invece, stanno ancora cercando di capire quali siano i parametri di questo piano. Mentre la Francia, come già osservato in questi giorni, sembra convinta della necessità di dare priorità alla propria industria nazionale. E questo vale anche sul fronte degli aiuti a Kiev.
Le intenzioni di Mosca
Ieri, dopo l’arrivo nella Capitale ucraina del ministro degli Esteri francese, Jean-Noël Barrot, Zelensky ha confermato che è stato “discusso del sostegno alla difesa, in particolare dei mezzi di difesa aerea, dell’addestramento per i nostri soldati e dei risultati degli incontri di Ramstein”. “Siamo pronti a espandere la produzione congiunta nel settore”, ha scritto su X il presidente ucraino, annunciando che “le aziende francesi hanno deciso di iniziare la produzione di droni in Ucraina”. Una scelta certificata anche dalle parole del ministro di Parigi, che sulla decisione di produrre i velivoli su suolo ucraino ha commentato: “Ecco cosa significano sovranità e fiducia strategica”.
Un incontro tra Putin e Trump?
I raid prima dell’arrivo di Barrot hanno però fatto capire in modo chiaro anche quali siano le intenzioni di Mosca: il presidente Vladimir Putin ha ben poco interesse ad accelerare sul fronte negoziale. Gli osservatori temono che l’aumento degli attacchi aerei sia il preludio a un’offensiva di terra a Est o più a Nord. E intanto, il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, ha sottolineato che le proposte di pace dei due Paesi sono “diametralmente opposte”. “C’è molto lavoro diplomatico da fare”, ha aggiunto Peskov. Dichiarazioni che arrivano pochi giorni dopo che Zelensky ha rilanciato la disponibilità a un terzo round di colloqui. Ma una fonte dell’agenzia russa Tass non ha escluso che possa esserci un incontro a Istanbul già nei prossimi giorni, probabilmente alla fine di questa settimana. Così come Peskov non ha escluso la possibilità di un incontro tra Putin e Trump nei prossimi mesi, forse in Cina per l’80esimo anniversario della vittoria sul Giappone nella Seconda guerra mondiale. “Non abbiamo sentito che anche il presidente Trump andrà a Pechino. Se anche lui sarà presente, non si può escludere che sia ragionevole tenere un incontro”, ha suggerito Peskov.
