Nello stesso modo, il partito comunista cinese decise di ammettere le imprese private e il proliferare di imprenditori ricchi e spesso miliardari, a condizione di mantenere il controllo economico e direttivo su tutte le industrie e le imprese. Il costo miserabile della mano d’opera cinese diventò la fonte di attrazione per migliaia di imprese occidentali che trovarono molto più conveniente dislocarsi in Cina pagando salari cinesi a operai che in Italia sarebbero costati il triplo. Ben presto l’Occidente, sempre caratterizzato dalla sua pigrizia nel laissez-faire e seguire il denaro, cominciò a trovare più conveniente comprare in Cina i componenti essenziali dei farmaci e dei prodotti elettronici separati. Tutto ciò ha creato delle condizioni tali per cui si può essere relativamente sicuri del fatto che per quanto possano peggiorare e arroventarsi le relazioni formali tra Usa e Cina, una guerra è impensabile perché l’economia cinese ha bisogno assoluto dell’economia e del mercato occidentale, il quale dipende da quello cinese e lo abbiamo sperimentato in questi tempi di Covid19, quando i cinesi si sono rivelati non soltanto coloro che avevano taciuto per molte settimane, forse mesi, la nascita dell’epidemia, ma che avevano astutamente messo sotto sforzo le loro aziende che producono respiratori ospedalieri, mascherine e materiale sanitario, da rivendere a prezzi di monopolio, ma con un grande show di generosità. L’epidemia dimostra che nessuno può pensare di attaccare la Cina, al massimo può infliggerle nuove sanzioni, ma non esiste alcun deterrente che possa scoraggiare Bejing dal fare quel che ha fatto nei giorni scorsi: rompere il trattato che prevedeva cinquanta anni di regime speciale – un popolo, due sistemi – e che oggi Xi Jinping ha deciso di calpestare. Era tempo che la Cina cercava di levarsi questa spina nel fianco che è la cittadella bellissima e culturalmente avanzata di Hong Kong, residuo della presenza e potenza occidentale. Intendiamoci: come ha riconosciuto spiritosamente Boris Johnson in una intervista a proposito della democrazia nella ex colonia: “Non ricordo che noi inglesi abbiamo mai instaurato una democrazia ad Hong Kong”. Infatti, la città-spina nel fianco era una democrazia basata sui social più che sulle rappresentanze, un aggregato di lingua cinese e inglese capace di resistere fino al momento dello showdown. Le carte in tavola sono cadute adesso, quando Est ed Ovest, principalmente Stati Uniti e Regno Unito da una parte e RPC dall’altra hanno potuto misurare con gli strumenti diventati indispensabili per la pandemia, che la Cina usufruisce del diritto di impunità. La si può strapazzare (con garbo) minacciare di sanzioni, ma poco più perché la Cina è il mercato americano il quale a sua volta è la Cina e nessuno Stato occidentale vivrebbe un’ora sola senza pezzi di ricambio e componentistica cinese. Naturalmente i maggiori Paese ne hanno tratto una lezione buona per il futuro: bisogna riportare a casa le proprie industrie indispensabili, farmaci e componentistica e tornare ad essere indipendenti dalla Cina che però ci serve come il pane. Tutto ciò considerato e ragionato, il Comitato centrale del partito comunista cinese e poi il Parlamento di quel Paese hanno varato l’unica decisione crudele, anzi terrorizzante, ma realista: voi occidentali non andaste a morire per Danzica nel 1938 d certamente non andrete a morire per Hong Kong nel 2020. Poi, mossa successiva, toccherà a Taiwan. Oggi la Cina, a rigor di geografia e diplomazia, la rivendica benché i taiwanesi siano pronti, dicono, a combattere fino alla morte. Ma anche la loro sorte è segnata e noi europei guarderemo la notizia della loro fine politica sui telegiornali distrattamente, ignorando del resto una storia vecchia di settanta anni che nessuno ricorda più.
Hong Kong brucia, ma la Cina ha l’impunità e l’Occidente è impotente
