“I Love Israel”, e al congresso junghiano scatta la censura. Gerbi: “Io sotto pressione perché non mi piego alla balla del genocidio”

Dal 24 al 29 agosto, oltre 2mila psicoanalisti junghiani da tutto il mondo si ritrovano a Zurigo per il congresso internazionale dell’Iaap (International Association of Analytical Psychology). Dovrebbe essere un appuntamento di confronto e ricerca, ma per molti diventa una vetrina del silenzio e della censura. David Gerbi, psicoanalista e rappresentante del Lirpa (Laboratorio italiano ricerche psicologia analitica), arriva con un dono ufficiale: 200 copie della rivista Lirpa International, contenente un suo articolo – tradotto in 10 lingue – sul tema Trauma e guarigione, individuale e collettivo, del popolo ebraico. Le copie sono destinate ai presidenti delle associazioni junghiane, ordinate con cura e pronte per la distribuzione dopo un suo breve intervento.

Gerbi parla per 8 minuti, indossa una maglietta “I Love Israel” (sul retro Peace, Shalom, Salaam), il tallit katan e la Stella di David. Pochi minuti dopo, la sala si svuota. La consegna dei fascicoli, già concordata con gli organizzatori, viene rinviata più volte con motivazioni diverse. Quando finalmente sembra tutto pronto, arriva l’ordine del nuovo presidente Iaap: ritirare il materiale, accatastarlo in un angolo e farlo sparire.

Nessuna spiegazione, nessun ringraziamento. Alla proposta di distribuirli liberamente a tutti i partecipanti, arriva un nuovo rifiuto. Di fatto, viene censurato. Mentre le riviste spariscono, alla reception del congresso compare un volantino dal titolo A Call to Communitas. Un appello all’unità, ma solo in apparenza: cita due volte il “genocidio a Gaza” e invita a inviare messaggi di solidarietà esclusivamente a colleghi palestinesi, ignorando quelli israeliani tra i tanti presenti al congresso con contributi significativi. Un incontro tra attivisti psicoanalisti che influenza il congresso e consolida il clima, facendo circolare sempre più spesso la parola “genocidio”. Gerbi, contattato dal Riformista, racconta: «Molti colleghi mi hanno messo sotto pressione perché dichiarassi che Israele sta commettendo un genocidio. È un ricatto morale che non apre dialogo ma approfondisce le ferite».

Non è un episodio isolato. Nel giugno 2024, a Roma, una conferenza internazionale su Trauma e guarigione – organizzata da Gerbi con analisti israeliani ed ebrei – era stata cancellata all’ultimo momento per pressioni interne all’Aipa (Associazione italiana psicologia analitica). I relatori, già pronti per partire, erano rimasti scioccati.

A Zurigo, però, Gerbi decide di reagire. Con l’aiuto di un grafico fa stampare 120 locandine e quattro grandi manifesti, affissi nei punti strategici del congresso. L’obiettivo è far ricordare le immagini degli ostaggi del 7 ottobre, le donne violentate, i bambini uccisi e i civili israeliani massacrati. Un gesto che acuisce l’isolamento. «No, Israele non sta commettendo un genocidio – ribadisce lo psicoanalista – Lo Stato ebraico sta cercando di liberare gli ostaggi rapiti da Hamas. Basta che vengano liberati, e tutto finirà». Molti colleghi smettono di salutarlo, e rapporti consolidati si raffreddano all’improvviso. Ma non mancano segni di vicinanza: un rappresentante del Cipa (Centro italiano di psicologia analitica) di Milano osserva che sarebbe stato doveroso osservare un minuto di silenzio per tutte le vittime.

Il momento più intenso arriva nell’ultima giornata, al panel dedicato a Unità e collegialità in un mondo diviso. Davanti a 8 ex presidenti Iaap, Gerbi prende la parola: «Durante il congresso ho sentito un’inclusività incompleta. Per essere accettato, mi si chiedeva di condannare Israele. Ma l’amore per Israele non può essere messo sotto processo». E a quel punto propone: il prossimo congresso abbia come tema Unità nella diversità e unione degli opposti. Il moderatore lo ringrazia pubblicamente per il coraggio e accetta la proposta, mentre gli altri presidenti tacciono.

Nonostante il gelo ufficiale, dal pubblico arrivano abbracci, strette di mano e parole sincere. «Quello che hai fatto ha richiesto vero coraggio, e voglio che tu sappia che ci sono persone che lo vedono e sono dalla tua parte», dichiara una giovane analista inglese a Gerbi. Colleghi da Germania, Svizzera, Argentina, Perù, Giappone, Israele e Stati Uniti esprimono solidarietà. Una collega israeliana si commuove e commenta: «Ha parlato con il cuore, e quando si parla con il cuore, si aprono i cuori degli altri».

La campagna pro-Pal si fa sempre più martellante: ormai la tesi del genocidio ha corrotto l’anima dell’Occidente. Ma non bisogna rassegnarsi. Perciò Gerbi tiene a concludere citando il rabbino Tarfon: «Non sei tenuto a completare l’opera, ma non sei nemmeno libero di sottrarti all’iniziarla».