I magistrati terrorizzati: così le toghe temono di perdere pieni poteri

Nei sistemi democratici basati sullo Stato di diritto, la libertà delle persone è un bene legalmente violabile solo nei modi, nelle circostanze e per le finalità prescritte dalla Carta Costituzionale e regolate dalla legge. Il potere di limitare, condizionare o negare a un cittadino le libertà fondamentali è un potere esorbitante.

I magistrati hanno quel potere esorbitante ma sono purtroppo privi del senso del limite necessario ad esercitarlo. La “giustizia” italiana deve far paura agli innocenti, agli estranei alle circostanze addebitate, ai poveracci travolti in un’indagine di cui ignorano i presupposti del proprio coinvolgimento e che tuttavia hanno fiducia nel magistrato. Ma gli innocenti sbagliano ad avere fiducia nella magistratura italiana, sbagliano a considerare “errori” le indagini infondate, i rinvii a giudizio assurdi, le condanne ingiuste in primo grado poi ribaltate in secondo e infine le assoluzioni confermate in Cassazione. I magistrati – nella loro unità sindacale – rifiutano di considerare come un problema loro la vita distrutta delle persone travolte dalla loro azione penale. È questa indifferenza alle implicazioni delle loro azioni penali che fa paura. Come possono non avvertire il problema?

Eppure il problema c’è, ben visibile nei dati ricorrenti sulle ingiuste detenzioni e sulle sentenze di condanna ribaltate nei gradi successivi. C’è nelle aule dei tribunali di oggi come in quelle di ieri. Negli archivi di Radio Radicale ci si può immergere in quelle aule e ascoltare con le proprie orecchie come, con quali argomenti e quali mezzi si possa finire imputati, restarci per anni, subire condanne che sembrano prescindere dalle risultanze dibattimentali. Si constaterà lo iato immenso tra sentenze e realtà, teoremi accusatori e fatti.

Sono gli stessi magistrati a usare contro la “separazione delle carriere” l’argomento della elevatissima percentuale di giudizi contrari alle richieste dell’accusa – quasi che il fatto che ci siano tantissimi rinvii a giudizio ingiusti, condanne in primo grado ingiuste, detenzioni ingiuste seguite poi in secondo e terzo grado da ravvedimenti e assoluzioni possa essere preso come indice della qualità della funzione inquirente e della capacità moderatrice della funzione giudicante. Quel dato denuncia invece una deriva patologica della magistratura che esercita verso i cittadini un potere soggiogante abnorme.

Quel che uno Stato di diritto non può tollerare è l’esercizio indifferente, superficiale, diciamo pure ottuso di quel potere così esorbitante di cui dispongono i magistrati nelle loro diverse funzioni. Non ci si può fidare, anzi si deve diffidare, di funzionari dello Stato che si autoinvestono di un’autorità morale che non hanno, che rifiutano di sottoporre a scrutinio il proprio operato, che negano di avere al proprio interno nessun altro problema se non le risorse sempre insufficienti a soddisfare la domanda di giustizia che essi stessi alimentano.

Della incoercibile libertà delle persone sembra che ai magistrati interessi veramente poco. Ore di convegni, partecipazioni tv, incontri politici e manifestazioni, ma mai un grido di allarme verso i poveretti travolti da procedimenti giudiziari che si sarebbero potuti evitare se solo si fosse avuta maggiore cautela; mai un’autoaccusa, mai una censura delle promozioni a pioggia dispensate dal Consiglio superiore anche ai magistrati che hanno distrutto la vita ad una persona, per semplice incuria o per dolo. Il 99% dei magistrati ottiene anzi valutazioni positive.

La riforma del Csm e la separazione delle carriere probabilmente non saranno risolutive, così come non lo fu nel 1989 la riforma del vecchio codice fascista e l’introduzione del rito accusatorio, quello in cui le parti si confrontano alla pari, à la Perry Mason. Purtroppo nemmeno allora le parti divennero più uguali né saranno mai veramente uguali. Nessuna difesa ha armi contro un Pubblico ministero che può calunniare ma non essere accusato di calunniare, può lanciare accuse basate su congetture, sospetti, indizi e chiamarle prove, che può approvare indagini invasive per milioni di euro, perizie e accertamenti a tutto campo, che può trascurare di riscontrare le dichiarazioni del testimone-chiave. E che in nessun caso risponderà del proprio operato né materialmente, né deontologicamente, né tantomeno penalmente. Cosa può fare il malcapitato davanti a un potere così abnorme?

Fatta la separazione, si può solo sperare che si apra una riflessione vera, non partigiana, su quale valore debba essere attribuito alla libertà personale in uno Stato di diritto e quali obblighi, quali responsabilità debbano guidare gli operatori di giustizia nell’esercizio del potere assoluto di negarla.