Caro Direttore,
nel primo anniversario del 7 ottobre l’opinione pubblica mondiale dovrebbe porsi la seguente domanda: nonostante le profonde divisioni religiose tra sunniti e sciiti che risalgono alla morte del Profeta cosa unisce i miliziani di Hamas (sunniti) con quelli di Hezbollah (sciiti)?
Sul piano pratico lo sappiamo, sono il sostegno economico e militare dell’Iran. Ma c’è una dimensione esistenziale molto più profonda: la promessa che il martirio aprirà le porte del paradiso a sé stessi e alla propria famiglia. Questa esaltazione della morte terrena (dal suicidio del kamikaze all’essere uccisi in combattimento) traspare in una impressionante intervista di Seyyed Nasarralh a Der Spiegel del 20 ottobre 1997 – poche settimane dopo l’uccisione in battaglia del figlio Hadi. Il titolo è emblematico “Noi Amiamo la Morte”.
La strada ‘del martire’
Di seguito alcuni stralci: “Siamo orgogliosi di quest’uomo caduto. E io, come segretario generale di Hezbollah, sono felice”.
D. Anche come padre che ha perso suo figlio? Se volessi farti credere che la perdita di mio figlio non mi ferisce, mentirei. […] è morto martire, e questo è il sentimento di gioia più alto che può ispirare un padre. […] D. Le tue motivazioni politiche sono più forti dei sentimenti di un padre? Noi crediamo in Dio e secondo la nostra fede il martire inizia una vita nuova, molto più bella in paradiso. […] quando i buoni e i cattivi stanno davanti a Dio, il martire ha il diritto di intercedere per i suoi familiari […] D. Quindi anche suo figlio si è sacrificato per la famiglia? Hadi ci porterà sicuramente in paradiso; tutte le famiglie dei martiri avranno questa gioia. […] D. Tre anni di allenamento – ciò significa che tuo figlio è diventato un combattente all’età di 15 anni. Si può lasciare ad un bambino una decisione così seria? No, vediamo i nostri figli a questa età come uomini in erba che possono prendere le proprie decisioni. E devo ammettervi che ero molto contento e felice della sua decisione. Ciascuno di questi giovani sa che la strada che ha scelto è la strada del martire. Ciascuno di loro attende la morte e desidera questo martirio. Non temiamo la morte, la amiamo e ne abbiamo sete.
L’amore per la morte e la sete di morte non appartengono alla stragrande maggioranza delle persone (credenti e non, o “diversamente credenti” per usare l’espressione di Norberto Bobbio). È per questo che il grido “Donna, vita e libertà” delle donne iraniane lancia un messaggio universale che va ben oltre la dimensione politica e culturale dell’Occidente.
