I nani diventano re al vertice con Trump, finalmente l’Europa trova la sua voce ‘grazie’ al vergognoso vertice in Alaska

European Commission President Ursula von der Leyen, from left, British Prime Minister Keir Starmer, Finland's President Alexander Stubb, Ukrainian President Volodymyr Zelenskyy, President Donald Trump, France's President Emmanuel Macron, Italy's Prime Minister Giorgia Meloni, Germany's Chancellor Friedrich Merz and NATO Secretary General Mark Rutte pose for a group photo in the Grand Foyer of the White House, Monday, Aug. 18, 2025, in Washington. (AP Photo/Alex Brandon)

Sette è un numero biblico, il numero caro a Roma, il numero di maglia di Ronaldo. Forse da oggi è anche il numero della politica estera europea. Per la quale si è sempre ripetuta la domanda (probabilmente apocrifa) di Henry Kissinger: “Se volessi parlare con l’Europa, che numero faccio?”. Forse, finalmente, abbiamo la risposta: il numero è il sette, come i leader seduti al tavolo di Washington con Trump e Zelensky.

Difficile ora dire se uscirà qualcosa di buono dal vertice estemporaneo che si è celebrato a Washington. Eppure questa nuova formazione a sette – Nato, Commissione europea, Francia, Germania, Regno Unito, Italia e Finlandia – ha per una volta parlato con la stessa voce. Su un dossier, l’Ucraina, sul quale si sono tanto divisi (si ricordi Macron premurarsi di non voler “umiliare” Putin con una sconfitta), ma forse anche l’unico sul quale negli ultimi tre anni e mezzo hanno inciso di più: dai 18 pacchetti di sanzioni all’apertura dei negoziati di adesione a Kyiv, passando per la fornitura di armi.

Il settebello equilibrato

Un settebello completamente inedito ma anche mirabilmente equilibrato: con Paesi del Nord e del Sud Europa, grandi e piccoli, due potenze nucleari e membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu (Parigi e Londra), i rappresentanti delle due istituzioni (Ue e Nato) che si trovano nella stessa città di Bruxelles ma sembrano spesso esistere su due pianeti diversi; e quello del Regno Unito, perfettamente intonato alle posizioni europee pur essendosi tirato fuori dall’Unione.

Per chi, come il sottoscritto, ha seguito per anni quella chimera che è la politica estera e di sicurezza europea, è stata quasi un’epifania vedere e ascoltare questi sette leader, parlare ciascuno per due minuti, ripetendo lo stesso identico messaggio. Con un inglese più o meno accentato, con gli inevitabili particolarismi (Macron che insisteva sul cessate il fuoco, Meloni che rivendicava la maternità della proposta di una possibile copertura dell’Ucraina ricalcante l’articolo 5 della Nato). Eppure, tutti miracolosamente concordi: garanzie alla sicurezza di Kyiv, tenere unito il fronte transatlantico, pace.

Lo scossa dopo l’Alaska

Ci è voluta, come sempre, una crisi per spronare l’inerzia europea. La crisi nella fattispecie è cominciata venerdì scorso con il vergognoso vertice di Anchorage in Alaska fra Trump e Putin. Nel quale Donald si è rimangiato minacce e ultimatum alla Russia e ha invece gongolato davanti al dittatore russo, per motivi che forse mai potremo davvero accertare. È proseguita nel weekend, con il rischio concreto che Zelensky potesse essere di nuovo vittima di un’imboscata, così come si verificò a febbraio alla Casa Bianca quando Trump e il suo vice Vance presero il povero presidente ucraino a pesci in faccia. La crisi è tutt’altro che conclusa, e vedremo nei prossimi giorni e settimane se porterà a qualcosa di buono.

Ad ogni modo, bisogna paradossalmente ringraziare Trump – la sua vanità, la sua mancanza di lealtà, il suo disdegno per gli ideali liberali e democratici, il suo cinismo – per aver dato agli europei la scossa e la sveglia di cui abbisognavano per arrivare al tavolo di Washington. Trump sta distruggendo quel che resta dell’Occidente; ma si sta involontariamente rivelando il più grande federatore dell’Europa dalla fine della Guerra Fredda.

Devo confessare di essere di parte, avendo lavorato per diversi anni fianco a fianco con uno di questi nuovi sette re d’Europa, il finlandese Stubb. La sua massima sull’Europa, che suole ripetere fino alla nausea, è: “Prima c’è una crisi, poi c’è il caos. E alla fine si arriva a una soluzione subottimale”. Ecco, spero che per una volta Stubb si sbagli: sia perché la formula dei sette, seppur nata da una crisi, è tutt’altro che subottimale e potrebbe davvero funzionare. Ma soprattutto perché se la vicenda ucraina finisse in caos avrebbe conseguenze fatali per tutti noi, dalle quali difficilmente potremmo risollevarci.