Nel “Gabbiano” di Anton Čechov il personaggio di Konstantin dice: «Adesso io so, io capisco che l’essenziale non è la gloria, non è ciò che sognavo, ma la capacità di soffrire…». Questa meravigliosa frase è ricordata nel bel romanzo di Licia Ugo, “Il bianco non è un colore” (Affiori editore), uno di quei libri nascosti al grande pubblico e che bisogna faticare per trovarlo: ed è un peccato, perché l’autrice racconta con toni sensibilissimi una storia realistica, drammatica e poetica insieme.
Siamo a Trieste – e già questo è un bel vantaggio, grazie al naturale splendore che la sua rievocazione espande nel racconto – dove Milena, bibliotecaria in una scuola, accudisce la suocera, anziana ma ancora in salute, cioè la madre di un marito di quelli che, sempre presi dal lavoro, ascoltano poco. S’impegna alla Caritas, Milena, cercando di dare più di quanto non riceva, incontrando la sofferenza altrui mischiata alla propria – eccola qui la «capacità di soffrire» di Čechov. E, come sempre nella vita, c’è qualcun altro che soffre più di noi. È Olga, una donna rumena che viene chiamata da Milena ad assistere la suocera; lei arriva a Trieste lasciando nella sua cittadina in Romania il figlio Alexey – il padre se n’è andato a lavorare in Germania. La cosa funziona fino alla tragedia che coinvolgerà la povera Olga. E qui, nell’animo di Milena, alla capacità di soffrire subentra un altro sentimento potentissimo: il senso di colpa. Per il dramma di Olga, per l’avvenire incertissimo del piccolo Alexey e dei migranti che lei ha conosciuto, ma forse anche per un rapporto d’amore mal costruito e per la propria vita sballottata senza un senso preciso. Sicché alla fine non funziona niente, è tutto un po’ fuori posto, come quando nel puzzle della vita i pezzi non s’incastrano.
Licia Ugo, qui alla sua prima prova importante, scava nell’animo e scopre che tutto diventa bianco: «Fuori il mondo era bianco, bianca la misura delle notti, bianche le bugie che si dicono ai bambini. Bianche le facce dei poveri cristi. Bianche le vedove avvilite. Bianco il colore dell’assenza. E bianche come il gesso le facce degli orfani dimenticati, gli orfani bianchi, il loro sangue senza tinta, solo languore». Ed è anche «il colore del lutto nelle culture orientali, e Milena sapeva che si usava nei funerali dei bambini piccoli». E certo il bianco è anche il colore del nulla, e forse della colpa.
