Il boia in Iran non si ferma e ad oggi le impiccagioni eseguite nelle carceri del Paese sono almeno 1800 dal 1° gennaio 2025, tra queste vi sono 56 donne: un record dal 1988, ovvero dalla fine della guerra Iran-Iraq, quando gli impiccati furono oltre 10.000, tutti detenuti politici. Il ritmo delle impiccagioni è serrato, è quasi di cinque al giorno; avvengono tutte all’alba, al grido di Allahu Akbar, nell’ora della prima preghiera del mattino, quando il boia benda il prigioniero che sale sul patibolo già con le mani legate dietro la schiena; mette la corda intorno al collo della vittima, la stringe forte e la bacia prima che si apra il vuoto sotto i piedi del condannato che penzolerà sospeso fino a che il collo non gli si sarà spezzato. Quei pochi minuti in cui annaspa nel vuoto nel vano tentativo di liberarsi le mani per allentare il cappio, sono per lui una eternità, sono i terribili istanti in cui sta soffocando, prima che il suo corpo, improvvisamente, sia scosso in un estremo sussulto di morte, mentre una schiuma bianca gli fuoriesce dalla bocca.
Nelle carceri iraniane i guardiani della Rivoluzione organizzano delle vere e proprie “cerimonie di impiccagioni”. Si vuole mostrare alla cittadinanza l’orribile fine riservata a chi commette un crimine e a chi si oppone al regime islamico. La maggior parte dei detenuti in Iran è costituita da prigionieri politici ed è espressione delle numerose comunità etniche e religiose del Paese. Nei centri di detenzione sparsi in tutte le province del paese sono rinchiusi centinaia di minori, anche di soli 12 anni, che vengono spesso sottoposti a fustigazione, scosse elettriche e a violenza sessuale, per terrorizzarli e per costringere le loro famiglie a dissuaderli dal partecipare alle manifestazioni. Questo è quanto è scritto nei rapporti, molto dettagliati e documentati, di varie organizzazioni umanitarie, quali Hengaw ed Amnesty.
Un’altra fase terribile della repressione è quella degli interrogatori per estorcere confessioni di delitti mai commessi, pentimenti di presunte azioni compiute che avrebbero messo in pericolo la Repubblica islamica. Nel sono mese di novembre 2025 almeno 260 sono stati i prigionieri impiccati nelle carceri della Repubblica Islamica dell’Iran, quasi 9 al giorno. Ciò rappresenta un aumento di almeno 134 casi, pari al 106%, rispetto al novembre 2024, quando furono giustiziati 126 prigionieri. Si tratta del numero di esecuzioni mensili più alto registrato in Iran negli ultimi due decenni. Secondo il rapporto Hengaw, nel mese di novembre, dei 260 impiccati almeno 43 erano rappresentanti della comunità lor, 35 erano curdi, 22 di etnia turca, 13 arabi, 12 Gilak, 6 beluci, 2 tat, 1 turkmeno, 5 afgani e 76 fars.
Dodici esecuzioni sono state eseguite il 1° dicembre, diciassette ne sono state eseguite il 2 dicembre, secondo i dati riportati da Hengaw e da Nessuno tocchi Caino. L’anno scorso la Repubblica islamica aveva effettuato 968 impiccagioni, e 2 anni fa, 878. Ci troviamo dunque di fronte a un’escalation. Anche gli arresti e le sparizioni si diffondono su larga scala e vedono conme vittime, in particolare, i giornalisti, gli studenti, gli artisti, gli avvocati, intellettuali e gli attivisti della società civile. La scorsa settimana, Ali Shadman, attore cinematografico, è stato arrestato insieme ad altre 20 persone, tra cui Parsa Pirouzfar, Setareh Pesiani, Sahar Dolatshahi, Mehran Miri e Ahmad Selgi, durante la sua festa di compleanno. Tutti accusati di “offesa al pubblico pudore”, “favoreggiamento della prostituzione”, “consumo di alcolici” e “possesso di bevande alcoliche”. Sono aumentate vertiginosamente anche le convocazioni presso i commissariati e i processi ai politici. L’obiettivo del regime in questo processo è “creare un clima di terrore” per impedire che la popolazione riprenda a scendere per le strade.
Dopo la guerra dei 12 giorni con Israele, la Repubblica islamica sta attraversando uno dei periodi più critici dalla rivoluzione khomenista del 1979. In questa guerra, diversi siti nucleari e militari sono stati gravemente danneggiati e la rete dei gruppi terroristici sostenuti dal regime iraniano nella regione, da Gaza al Libano e all’Iraq, è stata fortemente indebolita. Allo stesso tempo, il crollo del valore del rial, l’elevata inflazione e la carenza di energia e di acqua hanno peggiorato le condizioni economiche già disastrose. Il presidente Massoud Pezzekian è stato costretto a sospendere l’attuazione della legge “Hijab e Castità”, precedentemente approvata per “gestire il malcontento diffuso”. Le pressioni sono aumentate e continuano le minacce contro le famiglie, le convocazioni degli attivisti presso i commissariati e gli arresti degli studenti. Il governo vuole mettere a tacere ogni voce di dissenso. La magistratura è al lavoro con processi rapidissimi, di sole poche ore, soprattutto per i prigionieri politici e per coloro che sono accusati di “collaborazione con Israele”.
L’Assemblea consultiva islamica (il cosiddetto parlamento della Repubblica) ha approvato nuove leggi per inasprire le pene relative allo spionaggio e alle attività online. Dalla guerra dei 12 giorni contro Israele sono state arrestate più di 21mila persone, tra cui giornalisti, attivisti della società civile e membri di minoranze etniche e religiose. I più colpiti sono i membri della comunità Baha’i, accusati di “spionaggio per Israele” e le loro proprietà sono state confiscate. Nel frattempo, decenni di corruzione, di sperpero di risorse finanziare per alimentare organizzazioni terroristiche quali Hezbollah, Hamas, Jihad islamica (le ramificazioni della Repubblica islamica in Medio Oriente), lo sviluppo del programma nucleare militare per dominare il mondo (come recita la dottrina sciita e khomeinista) hanno distrutto l’economia del Paese, provocando una crisi energetica ed idrica che ha ridotto l’Iran al buio e alla sete. Il regime è sopravvissuto alla rivolta del 2022-2023 e persino alla guerra di 12 giorni con Israele.
Ora la Repubblica islamica assomiglia sempre più a uno Stato fallito; fratturata al suo interno, criticata e avversata da correnti interne di frange di pasdaran e ayatollah impegnati in una faida feroce nella lotta per il potere. Ma gli iraniani non restano in silenzio. Un istituto di ricerca indipendente con sede nei Paesi Bassi ha rilevato che oltre l’80% della popolazione desidera la fine della Repubblica islamica. Intanto l’intelligence israeliana avverte che Hamas ed Hezbollah in Libano, con finanziamenti e incoraggiamenti iraniani, stanno lavorando per ripristinare le infrastrutture terroristiche, contrabbandare e spostare armi nel Libano meridionale e nella valle della Bekaa, reclutare nuovi agenti e intensificare l’addestramento per un futuro round contro Israele.
