Il bullismo non si sconfigge con le manette e un pessimo italiano

Alla tragica morte di Willy Monteiro, il 6 settembre di quest’anno, il Governo aveva risposto nell’unico modo che questo Paese ormai conosce per reagire a episodi di eclatante violenza, ossia mettendo mano al codice penale. All’inasprimento delle pene per il reato di rissa si era accompagnata l’estensione dell’ambito di applicazione del Daspo, ossia del provvedimento di polizia con il quale il questore interdice a soggetti ritenuti pericolosi la presenza in certe zone delle città. Le due norme sono passate quasi inosservate visto che hanno avuto in sorte di finire nel più complesso alambicco legislativo del cosiddetto decreto immigrazione (n.130/2020) che riformava, in alcuni punti, le scelte del precedente governo a trazione leghista.

Il fatto che non si fosse aperta alcuna discussione sull’ennesima opzione punitiva partorita in ragione dell’emergenza di turno, non poteva però di per sé escludere che i lavori parlamentari offrissero un più ampio contributo sul tema. La legge di conversione, invece, si è risolta in un mero aggiustamento grammaticale e sintattico dei vari errori contenuti nel testo governativo, una cosa da matita rossa e blu per capirsi, con l’aggiunta qua e là di una virgola o la sostituzione di qualche proposizione («dei» invece «di»). Insomma una cosa da far impallidire qualunque docente di italiano delle scuole primarie e che, invece, è il distillato del drafting legislativo della presidenza del Consiglio che ha imposto le successive “correzioni” parlamentari. È vero che si discute da tempo dello scadimento della qualità della legislazione in Italia (l’ultima presa di posizione autorevole è stata quella di Michele Ainis), ma che si arrivi alla falcidia della lingua italiana in testi aventi rilevanza penale e sanzionatoria costituisce la cifra di una crisi profonda del sistema delle fonti che risente di fratture culturali davvero estese.

Sin qui poco male ci sarebbe da dire; in fondo i chierici del diritto sono abituati e, svarione in più svarione in meno, l’atteggiamento di diffidenza verso la produzione normativa domestica non sarà certo cambiato dopo l’ennesima figuraccia. Se non fosse. Se non fosse che quelle norme hanno come destinatari, in primo luogo, proprio quei ragazzi e quegli adolescenti che, troppe volte, si affrontano nelle piazze e per le strade delle nostre città in scontri organizzati plateali e violenti. La questione, in questo caso, non suo essere circoscritta alla sola pessima figura delle istituzioni legislative nell’uso della lingua italiana (della quale i ragazzi nulla sapranno in verità), ma assume una diversa latitudine e molto più rilevante. Una cultura illuminista pretende che il cittadino abbia cognizione dell’esistenza delle norme per effetto della loro pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale. Consumato il rito pagano dell’ostensione del testo legislativo nelle pagine della Raccolta delle leggi, il dado è tratto. Nessun ignoranza della norma può essere scusata. Un principio, invero, che non solo la Corte costituzionale (1988), ma soprattutto la Corte di Strasburgo hanno varie volte sottoposto a verifica, soprattutto in presenza di testi legislativi oscuri, parziali, sostanzialmente inaccessibili al cittadino medio senza l’assistenza di un tecnico.

Ora immaginare che le gang di adolescenti e di giovani che vengono a fronteggiarsi con mazze e tirapugni possano attribuire un minimo senso alla norma contenuta nel decreto legge 21 ottobre 2020, n. 130, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 173 – secondo cui «All’articolo 588 del codice penale: a) al primo comma la parola “309” è sostituita dalla seguente: “2.000”; b) al secondo comma le parole “da tre mesi a cinque anni” sono sostituite dalle seguenti: “da sei mesi a sei anni”» – è ovviamente una ingiustificabile illusione. Né è lecito pensare che prima di andare al Pincio a Roma o per le strade di Ercolano a darsele di santa ragione gli adolescenti diano un’occhiata alla Gazzetta ufficiale. Certo, obiezione scontata, si tratta di una tecnica legislativa inevitabile quando si deve modificare qualunque norma; si selezionano le parti da cambiare e si mettono accanto le modifiche. In questo caso, tanto per capirci, «309» e «2.000» non sono enunciati cabalistici, ma la pena pecuniaria prevista per la rissa che è stata innalzata da 309 a 2.000 euro; il resto è l’upgrading carcerario. Sembra, però, del tutto evidente che non ci si possa, come dire, lavare la coscienza per quanto successo nelle strade di Colleferro al povero Willy o, dopo l’approvazione dell’inasprimento sanzionatorio, al Pincio o a Ercolano brandendo un’oscura norma di un oscuro decreto legge, pietosamente reso compatibile con la lingua italiana dal Parlamento. La legge di conversione avrebbe dovuto offrire l’occasione per creare strumenti di comunicazione e di formazione ad hoc, espressamente indirizzati a quelle fasce giovanili troppo volte coinvolte in scontri organizzati e violenze di gruppo. Non si tratta di fare lezioni sul bullismo, sul cyberbullismo o cose del genere, ma di spiegare semplicemente cosa il legislatore prevede nel caso in cui si venga coinvolti in episodi del genere e come ci si possa rovinare la vita per simili sconsideratezze. Per carità l’ignoranza della legge penale non è tollerata, ma neppure quella di coloro i quali ritengono che con una manetta qui e l’altra una lì ogni problema venga a soluzione.