Gli appalti del Cira nelle mani dei Casalesi, così il clan controllava il Centro Italiano di Ricerche Aerospaziali

Le mani del clan dei Casalesi sul CIRA, il Centro Italiano di Ricerche Aerospaziali con sede a Capua, in provincia di Capua, e sugli appalti commissionati dalla società consortile a maggioranza pubblica, tra i maggiori organismi di ricerca a livello internazionale nel settore aeronautico e aerospaziale.

Questo punta a dimostrare una inchiesta coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli (sostituti procuratori Maurizio Giordano e Graziella Arlomede) che ha portato stamani all’esecuzione di undici ordinanze di custodia cautelare emesse dal Gip partenopeo Isabella Iaselli nei confronti di persone ritenute gravemente indiziate, a vario titolo, dei delitti di corruzione e turbata libertà degli incanti, aggravati dalla finalità di agevolare il clan dei Casalesi.

A eseguire le ordinanze sono stati questa mattina i carabinieri del Nucleo Investigativo del Gruppo di Aversa, che hanno condotto le indagini prevalentemente tramite intercettazioni telefoniche ed ambientali, l’acquisizione di documenti e con l’esecuzione di servizi di osservazione.

In particolare i gravi indizi di colpevolezza ricostruiti nell’ordinanza riguardano condotte di corruzione di alcuni funzionari del Cira ad opera di imprenditori interessati all’aggiudicazione delle gare oggetto della turbativa relativi al biennio 2020-21.

Gli indagati

Quanto agli indagati, in carcere sono finiti gli imprenditori, Sergio Orsi e Fabio Oreste Luongo. I domiciliari riguardano invece Carlo Russo, 52 anni (responsabile unico della procedura di scelta del contraente), Vincenzo Filomena, 60 anni, (progettista dell’Ufficio Tecnico del Cira) e Antonio Fago, 77 anni, (che avrebbe fatto da intermediario tra la famiglia Orsi e Filomena e Russo). L’obbligo nel comune di residenza è stato disposto dal giudice per Adolfo Orsi, 40 anni (figlio di Sergio, imprenditore), Francesco Pirozzi, 53 anni (geometra dell’Ufficio Tecnico del Cira), e per Amedeo Grassia, 59 anni (intermediario). Infine, l’interdizione dall’esercizio dell’attività di impresa riguarda gli imprenditori Salvatore Orsi, 38 anni, Felice Ciervo, 30 anni e Fiore Di Palma, 52 anni.

Il ruolo di Sergio Orsi

Tra i destinatari di misura cautelare c’è quindi un nome noto alle cronache giudiziarie. È il caso dell’imprenditore Sergio Orsi, ex dominus dell’azienda Eco4 che gettò l’ex deputato di Forza Italia Nicola Cosentino nei guai nel 2009 e già coinvolto in altre indagini, finito in carcere questa mattina. Il 64enne, scarcerato nel settembre del 2020, è fratello di Michele, ucciso in un agguato compiuto da un gruppo di fuoco del clan dei Casalesi guidato dall’allora latitante Giuseppe Setola.

Sergio Orsi, come ricorda l’Ansa, fu arrestato nell’agosto del 2017 nell’ambito di un’inchiesta relativa a estorsioni, trasferimento e intestazione fittizia di beni e valori, reati in concorso con altri e aggravati dal metodo mafioso. Gli inquirenti accertarono come i due fratelli Orsi, negli anni 2010 e 2011, avessero fittiziamente ceduto una parte di una società operante nel settore dell’igiene urbana a una seconda società intestata a prestanome, al solo fine di evitare una misura patrimoniale. Gli appalti ‘truccati’ del Cira grazie alla corruzione di alcuni suoi funzionari nel mirino dei pm napoletani sono recenti, del 2020 e del 2021.

Le dichiarazioni del pentito Schiavone su Luongo

Arresti che sono arrivati anche grazie al ruolo svolto da Nicola Schiavone, primogenito del boss dei Casalesi Francesco ‘Sandokan’ Schiavone, come collaboratore di giustizia. In un interrogatorio dell’8 giugno 2021, scrive l’Agi, Schiavone raccontò del legame tra il padre di Fabio Oreste Luongo col clan, in particolare col boss Francesco Bidognetti.

Luongo avrebbe infatti svolto lavori con la sua impresa edile grazie a un accordo con il capoclan, ottenendo lavori nelle zone controllate dai Casalesi assicurando in cambio costanti finanziamenti, dato che il profitto degli appalti veniva diviso a metà tra l’imprenditore e il boss.

Quanto a Fabio Luongo, Schiavone raccontò che era in rapporti di amicizia con lui e col fratello Walter. Il figlio di Sandokan venne informato da Luongo di essersi legato ad un gruppo di imprenditori con i quali faceva cartello, partecipando a gara di appalto dietro autorizzazione del clan soltanto per simulare la legittimità delle procedure di gara. In questo modo la cosca designava gli imprenditori che dovevano partecipare agli appalti e aveva la certezza che uno di loro potesse garantirsi l’aggiudicazione.