Sono molte le “fotografie geopolitiche” del summit del G20 in India. La prima è la capacità del premier Narendra Modi di ritagliarsi uno spazio sempre più visibile nello scacchiere diplomatico provando a rafforzare il ruolo di Nuova Delhi come partner dell’Occidente ma anche membro a tutti gli effetti di quel “sud globale” che cresce di peso. Una seconda fotografia è l’ingresso dell’Unione africana come membro permanente del G20: scelta che conferma la crescente rilevanza dell’Africa nella comunità globale. Una terza immagine è quella degli assenti, su tutti il presidente cinese Xi Jinping e l’omologo russo Vladimir Putin. Scelta obbligata per il secondo, preoccupato dal mandato di cattura internazionale, più curiosa per il primo, che sembra avere intrapreso una sorta di ripensamento della strategia da adottare in determinati consessi internazionali. Il multilateralismo in salsa cinese non passa più per il G20, ma per il Brics allargato. Ed è forse quella la vera piattaforma che secondo Xi è utile per sfidare l’altro blocco: quello del G7. Ulteriore fotografia del summit è quella della dichiarazione conclusiva sull’Ucraina: una scelta di compromesso, che non menziona la Russia pur condannando l’invasione e che ha ricordato le inevitabili difficoltà di raggiungere una definizione unanime in un vertice in cui erano presenti non solo gli inviati del Cremlino, ma anche partner di Mosca al di fuori del sistema occidentale. A margine del G20, però, è successo anche qualcos’altro. E l’ultima immagine consegnata dal vertice è in realtà quello che è accaduto a margine di esso.
Gli Stati Uniti, rappresentati dal presidente Joe Biden, hanno infatti rilanciato un ruolo che sembravano avere negli ultimi anni messo da parte a fronte di un ritiro strategico più o meno ordinato: e cioè quello di protagonisti in Medio Oriente e nel quadrante dell’Oceano Indiano, non solo visto come Indo-Pacifico. Washington sembra di nuovo interessata ai destini di quella che è una delle regioni più calde e mutevoli della politica mondiale. E questa regione a cavallo tra Europa, Africa e il cuore dell’Asia è importante per gli Usa anche per frenare l’ascesa della Cina come potenza economica e politica in grado di incidere su di essa. L’ingresso di Arabia Saudita ed Emirati nei Brics è stato un campanello d’allarme risuonato in tutti i corridoi di Washington. Questa nuova agenda americana, caratterizzata da un ritorno in Medio Oriente, dalla sfida a Pechino e dalla volontà di rafforzare i partenariati regionali, si è cristallizzata nel Corridoio economico tra India, Medio Oriente ed Europa.
Per comprendere la rilevanza di questo progetto ne abbiamo parlato con Heidi Crebo-Rediker, economista, una carriera all’interno del Dipartimento di Stato e ora senior fellow del Council on Foreign Relations, uno dei più importanti think tank Usa. “Si tratta di un piano infrastrutturale estremamente ambizioso, a lungo termine e strategico per connettere – come suggerisce il nome – l’India al Medio Oriente e all’Europa attraverso i trasporti, l’energia e le infrastrutture digitali”, spiega Crebo-Rediker a Il Riformista.
“Lungo il tracciato previsto, i partner di questo nuovo Corridoio faranno anche correre condotti per l’idrogeno e cavi. Finora, ciò che abbiamo visto al G20 è stata la firma del Memorandum of Understanding, ma ciò che costruirà o distruggerà questa coraggiosa iniziativa sono i finanziamenti e la sua attuazione. Ci vorranno anni per realizzarlo, ma se avrà successo sarà rivoluzionario”.
Non sono pochi gli osservatori che vedono l’iniziativa come la sfida degli Stati Uniti alla Via della Seta. E del resto Pechino ha già mostrato di essere sempre più legata alle potenze mediorientali. La visione di Crebo-Rediker è però meno netta sul punto. “Considero questa cosa più come un’iniziativa del G7 volta a offrire un’alternativa alla Via della Seta e come un focus regionale della Partnership for Global Infrastructure and Investment del G7. Non solo una proposta riservata esclusivamente agli Stati Uniti – ci dice – ma è importante che il primo grande progetto sia stato annunciato al G20 come un’agenda costruttiva, che mirerà a standard elevati, collaborerà con il settore privato per la finanza. In questo senso, contrasterà le pratiche di prestito cinesi coercitive e insostenibili che abbiamo visto negli ultimi dieci anni in tutto il mondo in via di sviluppo”.
Un tema che riguarda in particolare il Medio Oriente, passaggio fondamentale della Via della Seta ma anche di questo nuovo progetto. “Questo corridoio non si esclude a vicenda con la Belt and Road cinese, e il G20 certamente non si esclude a vicenda con i Brics. Il Medio Oriente traccerà il proprio percorso con gli Stati Uniti, l’Europa, la Cina e tra i Paesi della regione sia in politica estera che in economia. Ma il punto è che il mondo ha bisogno di più di un’alternativa per gli investimenti nelle infrastrutture. Si tratta di un’ottima proposta per la connettività regionale. Ecco perché è stato accolto così calorosamente in India lo scorso fine settimana. Ora inizia il duro lavoro per realizzarlo”.
Un lavoro in cui Nuova Delhi, padrona di casa del summit, ha indubbiamente un ruolo centrale come terminale. “Penso che gli Stati Uniti confidino che l’India si riveli un ottimo partner per rendere il Corridoio una realtà”, dice l’economista. E su questo punto vale la pena ricordare che la sfida di Washington è anche quella di allontanare Nuova Delhi dalla sfera antioccidentale, sia cinese sia russa. Proprio con Mosca l’India ha in ballo un altro grande piano infrastrutturale: il corridoio Nord-Sud. E l’Europa? Seguace degli Usa o protagonista? Per l’esperta del Cfr “tutto ciò nasce come iniziativa del G7, e l’Europa e gli Stati Uniti sostengono questo approccio e vorranno che abbia successo, così come gli altri membri del G7”. Tra questi c’è anche l’Italia, a cui Crebo-Rediker lancia la sfida: “L’Italia dovrebbe promuovere il successo di questo corridoio. Ha molto da guadagnare”.
