Nel Sì&No del Riformista, spazio al dibattito sul Digital Service Act, il regolamento dell’Unione europea per modernizzare e ampliare la Direttiva sul commercio elettronico. Favorisce davvero libertà e trasparenza? La risposta è “sì” secondo Nicola Danti, che sottolinea come l’Europa, stabilendo paletti chiari, ridurrà non solo prodotti poco sicuri e contraffatti ma anche messaggi di odio e profilazione degli utenti. Andrea Venanzoni, al contrario evidenzia il contorno poco chiaro ed il rischio di colpire, oltre alle notizie false, anche le narrazioni divergenti, affondando il pluralismo.
Di seguito il commento di Nicola Danti
È la fine del caos digitale, l’epoca delle scorribande sul web, che hanno proliferato, forti dell’assenza di qualsiasi legge e controllo. Un sì convinto e determinato all’introduzione di regole che limitino l’anarchia digitale e determinino il tramonto, speriamo definitivo, del farwest. Ovvero l’inizio di un percorso nuovo per l’Europa, che prova a normare un settore, che fino ad oggi è stato allergico a qualsiasi tutela.
Nei giorni scorsi infatti, il DSA (Digital services Act) è entrato in vigore per le “piattaforme online molto grandi”: 19 piattaforme e motori di ricerca con oltre 45 milioni di utenti mensili, le più frequentate. Da Facebook, Booking.com, Twitter, TiktTok, Instagram, Snapachat, Google, saranno loro i primi a dover implementare regole che hanno l’obiettivo di promuovere ambienti online più sicuri e più concorrenziali. Dall’anno prossimo le regole entreranno in vigore anche per tutte le altre piattaforme. Tra le varie norme da applicare, le piattaforme dovranno avere modalità per rimuovere i post contenenti beni, servizi o contenuti illegali. L’Europa in pratica dice basta a prodotti non sicuri o contraffatti, ma anche ad intimidazioni messaggi di odio, minacce, tutto quello che per anni abbiamo letto sui social.
Non censura, ma trasparenza e affermazione del principio “ciò che è illegale offline, è illegale online”. È l’idea – in particolare sulla vendita di beni e servizi – che valgano le stesse regole online di quelle che sono in vigore nei negozi tradizionali. L’Europa mette anche un freno alla profilazione degli utenti: è vero, Google, Amazon e gli altri non ci ascoltano. Ma hanno così tanti dati sulle nostre vite da poter prevedere ogni nostro desiderio, personalizzando in dettaglio la pubblicità che ci viene mostrata online, tanto da farci sentire spiati. Grazie alle nuove norme, l’Europa mette dei paletti chiari: stop alla pubblicità mirata basata su dati quali l’orientamento sessuale, la religione, l’etnia o le convinzioni politiche; più trasparenza sul funzionamento degli algoritmi; diritto per gli utenti di rinunciare a sistemi di profilazione a fini pubblicitari (stop quindi, per chi vuole, a pubblicità personalizzata); ma anche diritto di visualizzare sulla propria pagina i post e contenuti pubblicati più di recente, secondo un ordine cronologico e non secondo l’ordine automaticamente deciso e filtrato dalla piattaforma.
A questo si accompagna anche il tentativo di avere un mercato online più sicuro. Lo shopping di prodotti e servizi avviene sempre di più online, dall’acquisto di merci alla prenotazione di un albergo. Le piattaforme rendono il tutto più intuitivo, con grandi benefici di velocità. Ma non possono essere esenti da responsabilità qualora tali beni e servizi siano illegali. Grazie al DSA, le piattaforme dovranno avere modalità chiare per ricevere segnalazioni e per rimuovere post contenenti beni, servizi o contenuti illegali.
Scrivevo prima, non censura ma trasparenza: nessun bavaglio a ciò che si può postare online, ma un principio cardine: “ciò che è illegale offline, è illegale online”, ovvero l’equiparazione del web alla realtà. No quindi a discorsi di odio o che discriminano. Al tempo stesso, anche chiarezza su come vengono gestiti i contenuti: qualsiasi utente che si vedrà segnalato o cancellato un post dovrà sapere esattamente perché ciò è avvenuto, ed eventualmente come e a chi fare reclamo.
L’Europa in questo modo diventa leader nella regolamentazione: come con GDPR (General data protection regulation), l’UE fissa gli standard, e gli altri ci seguono/seguiranno. Così anche su tutto il tema della cyber sicurezza, altro capitolo cardine della strategia digitale dell’UE e su cui stiamo lavorando proprio in questi mesi con il Cyber Resilience Act di cui sono relatore. Con la sua adozione, l’Europa vuole stabilire un giusto equilibrio tra la tutela dei diritti fondamentali, la promozione della libertà di espressione e la necessità di controllare gli abusi online. Ben venga quindi l’adozione di regole!
