Il doge cerca casa, Zaia e i mille futuri possibili: le preferenze dell’ex governatore spaventano centrodestra e la Lega salviniana

C’è un numero che racconta meglio di qualsiasi analisi il peso politico di Luca Zaia: 203.054. Sono le preferenze personali raccolte alle regionali del 23-24 novembre, un record assoluto nella storia elettorale italiana per questo tipo di consultazione. Il precedente primato apparteneva a un democristiano campano, Alfredo Vito, fermo a 121mila voti nel lontano 1985. Zaia lo ha quasi doppiato.

Eppure, per la prima volta in quindici anni, il Doge non siede più a Palazzo Balbi. Il limite dei mandati gli ha sbarrato la strada, gli alleati di Fratelli d’Italia e Forza Italia hanno posto il veto sulla sua lista civica, e lui ha risposto candidandosi capolista della Lega in tutte le circoscrizioni. Una mossa che ha trasformato il voto regionale in un plebiscito personale: circa un terzo degli elettori leghisti ha scritto il suo nome sulla scheda. A Treviso, Venezia e Vicenza le percentuali sono ancora più alte. Il risultato ha permesso alla Lega di doppiare Fratelli d’Italia (36,2% contro il 18% circa), ribaltando il sorpasso subito alle politiche 2022 e alle europee 2024. Un segnale politico pesantissimo, che ridisegna i rapporti di forza nel centrodestra veneto e che Zaia non ha mancato di sottolineare con una punta di veleno: “Sono ricandidabile”, ha detto a urne chiuse, riferendosi alla legge nazionale che permetterebbe un quarto mandato. Un messaggio agli alleati che lo avevano definito “un problema”.

Ma la vera partita potrebbe giocarsi altrove. Secondo quanto trapela da ambienti vicini all’ex governatore, stretti collaboratori di Zaia starebbero contattando in questi giorni, con grande riservatezza, esponenti di movimenti e partiti veneti di area riformista. L’obiettivo sarebbe sondare la loro disponibilità a confluire in un nuovo soggetto politico che il Doge potrebbe fondare. Non è ancora chiaro se il progetto nascerebbe su scala regionale, per poi eventualmente allargarsi al piano nazionale, o se l’ambizione sia fin da subito più ampia. Quel che è certo è che 203mila preferenze rappresentano un capitale politico che Zaia non intende disperdere dentro i confini della Lega salviniana.

Nel frattempo, le ipotesi più immediate restano sul tavolo. La presidenza del Consiglio regionale, la poltrona che fu di Roberto Ciambetti, appare scontata. Un ruolo istituzionale di primo piano, che gli consentirebbe di restare al centro della scena veneta senza responsabilità di governo. Curiosamente, la prima seduta dell’assemblea sarà presieduta da Riccardo Szumski, il medico no-vax di “Resistere Veneto”, in quanto consigliere più anziano. Poi toccherà votare il presidente effettivo. Ma il Doge potrebbe guardare oltre. All’orizzonte c’è Venezia, dove nel 2026 si vota per il sindaco. Sarebbe un traguardo storico per la Lega, che oggi ha un solo primo cittadino di capoluogo in Veneto (Mario Conte a Treviso). Zaia sindaco della Serenissima: un’immagine potente, che alimenta già le speculazioni dei cronisti locali.

C’è poi la partita parlamentare. Alberto Stefani, eletto governatore, deve dimettersi dalla Camera. Si apriranno le suppletive nel collegio di Rovigo, e qualcuno sussurra che Zaia potrebbe cogliere l’occasione per tornare a Roma. Dove peraltro potrebbe puntare più in alto: un ministero nel prossimo governo, magari quello della Salute, sfruttando la popolarità costruita durante la pandemia. Nei giorni scorsi l’ex governatore ha incontrato il presidente Mattarella. Sul contenuto del colloquio bocche cucite, ma il gesto ha alimentato le voci su un futuro nazionale.

Una cosa è certa: con quel bottino di preferenze in tasca e i primi contatti già avviati nel sottobosco politico veneto, Luca Zaia non ha alcuna intenzione di andare in pensione. E forse nemmeno di restare a lungo dentro la Lega.