Il sovraffollamento delle grandi città, altro fattore che spaventa i più, non è necessariamente una condizione negativa: ci sono città demograficamente sovraccariche che registrano grandi successi: basti a pensare a Tokyo, alla stessa New York o a Hong Kong. Le alte densità consentono anzi una maggiore sostenibilità generale e, come s’è detto, la presenza di servizi di livello più alto. La politica e le pubbliche amministrazioni giocano un ruolo centrale: se fanno male, se fanno poco o anche se semplicemente impediscono di fare possono creare seri problemi alle città. Così come le città non possono certo essere smart se i cittadini che le abitano non adottano comportamenti smart. Ma il futuro delle città è anche carico di problemi difficili da affrontare: ve ne sono molte che, invece di crescere, per ragioni diverse decrescono e sono purtroppo numerose anche in Italia. I centri minori delle nostre aree interne, soprattutto al centro e al sud, decrescono in maniera preoccupante. Cosa potrà salvare le nostre città dal declino se non dal collasso? Non è facile rispondere in maniera sintetica. Ci proviamo. In primo luogo, la progettualità. La progettualità è strategica per il nostro futuro: è importante progettare e non subire i cambiamenti che comunque il futuro ci riserva. Una sfida impegnativa per una società come la nostra (pensiamo specificamente all’Italia), che tende spesso a rifugiarsi nel passato (un passato, peraltro, più immaginato che effettivamente esistito e tanto meno esperito), se non addirittura a rimuovere il futuro: una società che a molti osservatori sembra persino incapace di immaginare il futuro. Ma una buona progettualità, nel senso più alto ma anche più attuale di vero e proprio disegno del futuro, non basta. Va accompagnata da senso civico, da spirito etico inteso come qualcosa che contiene comunque al suo interno una componente estetica e dal citato concetto di libertà come ricerca di un difficile equilibrio. Un progetto comune, dunque, per un mondo segnato da sempre maggiore interdipendenza, che accolga l’invito - contenuto in un testo di Hans Georg Gadamer del 1989, Das Erbe Europa (L’eredità dell’Europa) - a lavorare insieme per un futuro comune. Gadamer ci ricorda esplicitamente come sia «cresciuta la nostra responsabilità verso il futuro e verso la vita delle prossime generazioni. Questo significa che dobbiamo cercare un accordo e un equilibrio fra i vari gruppi di interesse, come anche un equilibrio fra i bisogni dell’umanità e la sua dipendenza dall’ambiente naturale. La natura di questi compiti è tale che ne siamo tutti coinvolti, agendo o non agendo, e con tutte le conseguenze che l’azione o la non-azione comporta. Il nostro mondo in pieno mutamento rappresenta dunque una grandiosa sfida […] Ma il nostro compito, e la nostra specifica vocazione umana, sarà pur sempre quella di rafforzare il nostro tessuto comunitario: ricordando oggi, a noi stessi e agli ‘altri’ - a chi pensa diversamente da noi - il dovere inaggirabile di provvedere a un futuro comune». Un futuro, quello delle nostre città, che non va passivamente atteso o, peggio, subito, ma che invece si prepara e si costruisce, insieme, nel tempo; un futuro che non è altro che il prodotto delle nostre azioni presenti e, soprattutto, della nostra concreta capacità di progettare e di innovare.
Il futuro delle città, sovraccariche e caotiche ma luogo di libertà
